giovedì 3 novembre 2016

Baraka

Carissimi amici e lettori, a volte una foto parla molto più delle parole. La foto spiega drammi e sofferenze molto di più di quanto lo possa fare uno scritto.
Volutamente dalla foto ho escluso il viso, dove il fuoco ha fatto altro scempio sulla povera pelle del piccolo Baraka.
Una vecchia ustione lo aveva ridotto così, ed il piccolo è stato portato a Chaaria da Malindi, con l'aiuto dell'Associazione Africa Milele: un viaggio di più di 15 ore in pulman!
Sono arrivati a Chaaria stremati ieri pomeriggio e stamattina alle otte il piccolo era già in sala.
Sei ore di anestesia generale per un intervento chirurgico in cui si sono fatte plastiche a zeta, innesti cutanei, lembi, allungamenti muscolari e tendinei.
Ora Baraka ha recuperato completamente la normale postura del gomito e del polso. Non è più deformato!




Delle dita però, solo il pollice ha potuto essere liberato completamente dalle contratture da ustione. Le altre sono ancora bloccate in flessione perchè al momento non c'era abbastanza tessuto per l'allungamento dei tendini.
Ci sarà quindi una seconda seduta operatoria a maggio, quando il Dr Cara sarà nuovamente con noi. In quella occasione si libereranno tutte le dita.
A maggio dovrebbe essere con noi anche il Dr Toto Burrai (chirurgo plastico), e, grazie a lui, speriamo di poter aiutare Baraka anche sul viso, soprattutto al fine di permettergli nuovamente di chiudere l'occhio che oggi rimane permanentemente aperto a causa di retrazioni cicatriziali da ustione.
Siamo orgogliosi e felici di questo intervento ed auguriamo a Baraka di guarire bene ed in fretta.
Ringraziamo l'Associazione Africa Milele per la fiducia che sempre dimostra nei confronti di Chaaria.
Un grazie infinito al Dr Luciano Cara, ad Enrico, a Davide e Lucia per il grande lavoro che stanno facendo in questi giorni qui a Chaaria.
Al mio grazie si uniscono tutti i malati che essi stanno aiutando.

Fr. Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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