domenica 11 dicembre 2016

Certo gli abbiamo salvato la vita

Nicholas arriva da molto lontano, da un’altra contea.
Sono sette giorni che non va di corpo; ha la faccia incavata e gli occhi fuori dalle orbite.
Accusa un dolore addominale così intenso che non riesce a camminare eretto, ma deve curvarsi in avanti.
L’addome è molto disteso.
Gli metto una mano sulla pancia, e la sento dura come una pietra.
Era ieri, verso le 11 di mattina, quando arrivava a Chaaria.
Nonostante il grande congestionamento di questi giorni di sciopero, alle 11.45 avevamo già un emocromo che dimostrava un elevatissimo numero di globuli bianchi.
Entro mezzogiorno avevo già fatto anche l’eco: le anse intestinali erano dilatate e la peristalsi era assente. In addome c’era una quantità notevolissima di liquido dall’apparenza ecografica piuttosto corpuscolata.
“E’ certamente un addome acuto, e, considerando il sesso maschile e l’età giovane-adulta, ci scommetto che è un’ulcera perforata”.
A causa dello sciopero il poveretto aveva vagato per giorni in cerca di un ospedale, e questo certamente ha causato un notevole peggioramento delle condizioni generali, ma alle 13 eravamo già in sala.
All’apertura della cute e del peritoneo, siamo stati letteralmente sommersi da una quantità incredibile di pus, in cui però si intravvedeva chiaramente del porridge.
Abbiamo aspirato; abbiamo lavato abbondantemente la cavità con soluzione fisiologica, abbiamo lisato le aderenze, ed infine... “bingo”!
Una grossa perforazione sul duodeno, proprio come avevo pensato.


Le ulcere peptiche perforate sono ancora molto frequenti in questa parte del mondo.
La sutura non è stata difficile, l’operazione è finita bene ed oggi il paziente è stabile.
Con il nostro intervento tempestivo certamente gli abbiamo salvato la vita, soprattutto perchè in questo periodo per i pazienti è assolutamente difficile trovare un ospedale completamente funzionante anche durante il week end.
Questa è la nostra vocazione: essere sempre disponibili per chi soffre ventiquattr’ore ore al giorno e sette giorni alla settimana.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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