martedì 30 maggio 2017

L'ho provato tante volte

Ho sentito spesso il fetore tipico che ha il tumore dell’esofago. Mi ha investito in folate ricorrenti che mi penetravano le narici, quando eseguivo le biopsie durante la gastro e la pinza bioptica portava su pezzi di carne morta. 
Mentre guardavo l’immagine sul monitor e sopportavo il lezzo inconfondibile del cancro, pensavo che quel paziente avrebbe fatto una morte pessima.
"Morirà di fame e di sete, e nessuno potrà aiutarlo perchè non avrà certo i soldi per l’intervento".
E poi l'altro sapore che ti assale in quei momenti è quell'eterno senso di colpa che ti attanaglia lo stomaco: glielo dico o non glielo dico di andare a Nairobi e provare operazione e chemioterapia?
Se glielo dico e mi rispondono che non hanno soldi, i sensi di colpa aumentano. Se non glielo dico e decido di non metterli neppure nella situazione di capire che forse si potrebbe far qualcosa che loro non si possono permettere, allora mi viene un altro scrupolo, perchè in fondo chi mi dà il permesso di sostituirmi a loro nella decisione che riguarda la vita o la morte del congiunto?
Eh, si! Riconosco nelle narici il fetore del tumore dell’esofago. E’ tipico e quasi infallibilmente diagnostico quanto una biopsia.


Riconosco anche il senso di disagio interiore che mi assale tutte le volte che mi trovo davanti ad una situazione inguaribile o ingestibile per Chaaria, dove lo spartiacque per decidere se si tenteranno nuove terapie sono le possibilità economiche del mio malato.
Mi sento tanto in colpa quando dico a qualcuno di andare al Kenyatta Hospital, perchè so che moltissimi non se lo potranno permettere. Mi sento morire in quei momenti, ed allo stesso tempo non so cos'altro fare per loro.
Fare diagnosi è comunque importante: almeno, se sanno la verità, si potranno preparare all'ineluttabile e la smetteranno di fare viaggi della speranza da luminari interessati più a spillare loro i soldi che non a rivelare la dura verità. Potranno in tal modo risparmiare qualcosa da usare magari per sistemare i figli, pianificare per il futuro della loro famiglia quando essi non ci saranno più... e magari anche pensare un po' alla propria anima.
Il cancro dell'esofago, sempre così frequente a Chaaria, è una di quelle esperienze cliniche in cui il medico incontra non solo il malato ma anche la propria anima; si pone delle domande... e soprattutto si sente impotente ed un po' vigliacco, quando affida al paziente una diagnosi per cui non si può fare quasi nulla.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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