venerdì 23 febbraio 2018

Ultimo giorno

Le cose belle passano sempre troppo in fretta. 
Questa sera si e' ufficialmente chiuso il congresso ortopedico Sign a Eldoret.
E' stata un'occasione unica di apprendimento e di formazione professionale, un convegno davvero rilevante per la nostra pratica clinica, un'occasione di conoscenza e di scambio con una realta' stupenda come il dipartimento di ortopedia della Moi University di Eldoret.
E' stato un momento di mondialita' con docenti dagli Stati Uniti, dal Kenya e dall'Etiopia, e con partecipanti sia dal Kenya che dal Sierra Leone, dal Botswana, dal Congo e dal Lussemburgo.
Questa sera il Dr Lewis Zirkle e la direttrice generale di Sign Jeanne Dillner hanno voluto offrire una cena privata solo per me e per la dottoressa Makandi.
Abbiamo parlato molto, ci siamo conosciuti ancor meglio. 
Sono commosso dal fatto che il Dr Lewis mi consideri come uno dei suoi migliori ortopedici e reputi Chaaria un ospedale Sign di eccellenza per il grande lavoro che facciamo e per il numero impressionante di fratture che operiamo. 
Insieme abbiamo parlato del nostro sogno di servizio ai poveri e di restituzione...abbiamo ricevuto molto, senza averne alcun merito, e quindi il nostro servizio e come un restituire ai bisognosi quello che ci e' stato dato in sovrappiu'.


Torno a Chaaria carico e desideroso di restituire ai malati che mi aspettano tutto quanto mi e' stato donato in questo congresso.
Per inciso Sign ha pagato per noi le spese di vitto e alloggio in un albergo davvero molto bello...anche di questo siamo molto grati.
Domattina ripartiamo tutti insieme: noi per Meru e Chaaria, e loro per gli USA. 
Onestamente gia' mi mancano ma so che saremo uniti dallo stesso ideale di servizio.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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