domenica 20 maggio 2018

La domenica andando alla Messa

La preparazione inizia presto.
Fr Giancarlo ed il fidato Kimani iniziano a preparare l'altare gia' alle 7, 30.
Giancarlo ha un sacco di fantasia e buon gusto, ed in genere l'altare e' allestito con cura e tanto buon gusto, con fiori e drappi.
Dalle 8 in avanti cominciano ad arrivare I Buoni Figli...chi a piedi e per conto suo, chi accompagnato dal personale, e molti sulle loro carrozzine spinte dai volontari. Per loro la Messa e' anche una festa, in cui hanno l'occasione di salutare tutti e di uscire dal centro che li ospita.
Gli ultimi ad arrivare sono I pazienti dell'ospedale, che, secondo una consolidata tradizione di "African time", continuano ad afferire alla celebrazione fin dopo il Vangelo.
In genere la Messa e' molto partecipata, con canti e danze organizzate dallo staff dell'ospedale. Il sacerdote e' molto empatico e sa attirare l'attenzione di tutti, anche durante la predica...in genere alquanto lunga per gli standard italiani.
Per la comunione il celebrante si reca a tutte le persone in carrozzina ed ai malati alettati nei reparti, prima di distribuirla a tutti gli altri.


Comunque, tra canti e celebrazione non ci mettiamo mai piu' di un'ora, in quanto anche il prete sa che questa Messa e' soprattutto per I malati e per I disabili...in parrocchia la Messa grande dura almeno 3 ore!!!
La celebrazione e sempre in kiswahili al fine di favorire anche I pazienti che provengono da altre regioni del Kenya e non conoscono il kimeru.
E' molto bello anche il dopo-messa, quando riaccompagnamo I Buoni Figli al centro tra risa e chiacchiere varie.
La Messa domenicale e' un momento caratterizante di Chaaria, e certamente e' bello quando la viviamo insieme anche con I volontari che con noi condividono le fatiche del servizio.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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