sabato 12 maggio 2018

L'ultimo dei mohicani

Mi piacciono tutte le specialita' della medicina.
Mi affascina la ginecologia/ostetricia.
Mi rendo conto di avere una certa predisposizione per la chirurgia generale.
Ultimamente mi sono buttato a capofitto nella traumatologia ed ortopedia.
Amo l'ecografia in generale e soprattutto quella ostetrica.
Mi sento attratto anche dalla endoscopia digestiva..
Non ho dimenticato la medicina interna, l'oncologia, e soprattutto il mio primo amore...le malattie infettive.
Sono contentissimo che i donatori americani di SIGN vogliano continuare ad offrirmi corsi di formazione e di ulteriore specializzazione in ortopedia. Ovviamento mi impegnero' al massimo a . studiare ed a crescere in ortopedia, per non deluderli.
Se pero' mi dicessero che, dopo tali corsi, devo occuparmi soltanto di ossa, non ce la farei. Non posso dimenticare le altre branche della medicina e della chirurgia. Non posso lasciare i miei cesarei.
Mi sento in questo quasi come un animale in via di estinzione.
Ormai la medicina in Europa ed America e' superspecialistica. Ci si specializza sempre piu' profondamente in aree sempre piu' ristrette della medicina. E' quasi come dire che si tende a sapere proprio tutto, ma su molto poco.
In Africa ancora siamo in una situazione molto diversa: siamo in pochi e bisogna fare di tutto. E' come dire che siamo obbligati dalle circostanze a sapere qualcosa su un po' di tutto. Molte volte, se le cose non le facciamo noi, non le fa nessuno...la gente non sa dove andare. 
Ecco quindi che io non posso essere solo un ortopedico, perche' ci sono tanti altri bisogni a cui comunque devo rispondere per il bene del paziente.


Non so quanti esemplari di medici cosi' ci siamo ancora al mondo prima della totale estinzione.
Ma questo e' quello che mi sento chiamato ad essere...credo in una medicina olistica che possa dare una risposta a quanti piu' problemi mi sia umanamente possibile.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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