giovedì 26 luglio 2018

Lezioni di vita in Africa

Certo, lavorare in Africa insegna molte cose, soprattutto ci rende consapevoli dei nostri limiti, di quello che non sappiamo, e di quello che avremmo potuto far meglio. 
Il rullo compressore della quotidiana fatica spesso smaschera elementi bui del nostro carattere: a volte si corre tutto il giorno, cercando di fare del proprio meglio, e poi verso sera, quando le energie sono ormai “in riserva”, si perde il controllo, si diventa nervosi e ci si scarica contro un paziente che ha il solo torto di essere capitato sotto le nostre grinfie nel momento meno opportuno. 
Anche questi sono comunque momenti utili: all’inizio ci si tormenta nel senso di colpa, si vorrebbe richiamare indietro il malcapitato che invece è già tornato a casa “con la coda tra le gambe”; si corre il rischio dello scoraggiamento, pensando di aver rovinato in un momento quanto costruito durante una faticosa giornata di servizio e di donazione. 
Poi però la pace del cuore ritorna, e si accetta il fatto che non siamo perfetti ed abbiamo bisogno ogni giorno della misericordia di Dio.
Dio sceglie gente imperfetta e limitata per portare il suo messaggio di liberazione; ci vuole bene e ci accetta così come siamo, e desidera da noi solo lo sforzo per fare del nostro meglio. 


Poi tutto il resto lo porta a compimento Lui. Noi siamo degli strumenti molto imperfetti della sua Provvidenza, e la presa di coscienza di questa nostra condizione ci aiuta ad andare avanti, resistendo sia alla tentazione dello scoraggiamento, sia a quella di sentirci superuomini capaci di risolvere tutti i problemi.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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