venerdì 27 luglio 2018

Settimana dura

Da 7 giorni ormai vivo una situazione di emergenza, non solo perche' in sala si lavora davvero tantissimo, ma soprattutto perche' di notte non si riesce a riposare.
Ci sono state chiamate tutte le notti, ed al 99% sono state legate alla maternita': cesarei d'urgenza alle 2, forcipi per complicazioni del secondo stadio di parto alle 3, placente ritenute alle 4.
Solo in un caso si e' trattato di una crisi asmatica grave alle 4.30 del mattino.
Il difficile, quando hai nottate del genere, e' riprendere sonno dopo la chiamata: ritorni a letto agitato e pieno di adrenalina, e quindi continui a rigirarti tra le coperte con la mente che corre piu' di un treno e non ce la fai ad addormenterti se non mezz'ora prima che suoni la sveglia.
Ti alzi stanchissimo e con il cervello rintronato.
Poi durante il giorno non c'e' tregua: interventi in sala, pazienti ambulatoriali, ecografie, gastroscopie. La pausa pranzo e' ridotta a pochi minuti e la siesta post-prandiale un ricordo di tanti anni fa.
Ci sono momenti della giornata in cui ciondoli e vorresti andare a letto almeno una mezz'oretta, ma non puoi proprio perche' il ritmo e' assillante, ed i malati tantissimi.


Anche stasera dopo cena sono passato a fare il giro in reparto, come e' mia consuetudine da anni. Ovviamente siamo al gran completo in tutti i reparti.
La maternita' e' paurosamente piena, ed alla mia domanda: "tutto bene qua?", l'infermiera ha risposto stringendosi nelle spalle, e dicendomi: "finora tutto calmo...poi speriamo!".
Chiedo al Signore che me la mandi buona perche' i miei occhi si chiudono ed io onestamente mi sento davvero a pezzi.
Mi auguro sinceramente di poter dormire fino a domattina all'alba.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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