venerdì 10 agosto 2018

Giorni intensi

Sono state giornate molto dure.
Abbiamo operato tantissimo, ma soprattutto abbiamo avuto casi difficilissimi in sala.
Abbiamo avuto ben due addomi acuti da perforazione di ulcera duodenale. Mentre iniziavamo ad operare il primo, immediatamente dopo l’induzione dell’anestesia generale, il paziente ha complicato con un arresto cardiaco. 
Jesse e’ pero’ stato molto bravo con le sue manovre di rianimazione ed abbiamo potuto fare l’operazione. Il malato e’ ora in buone condizioni anche se non e’ ancora dimesso e si sta alimentando solo con latte.
Il secondo perforato era un vecchietto in condizioni pessime, il quale gia’ prima dell’intervento aveva crisi di ipoglicemia estrema. 
Anche lui siamo riusciti ad operarlo, ma l’indomani mattina siam dovuti rientrare in sala perche’ il drenaggio della doccia paracolica destra drenava tantissima bile: alla laparatomia abbiamo trovato che la perforazione duodenale aveva causato anche un buco nel dotto cistico.
Non e’ stato pero’ possible pensare ad una colecistectomia, perche’ la cistifellea era tutta infiammata ed adesa al duodeno. 
Abbiamo percio’ optato per un drenaggio biliare esterno con colecistostomia, in attesa che le condizioni si stabilizzino per tentare una colecistectomia su un terreno tanto compromesso. 


Anche lui sta andando benino e dai drenaggi peritoneali non esce piu’ niente.
Abbiamo poi ricoverato un poveretto con un’ernia scrotale incarcerata ed associata ad un idrocele.
Anche in questo caso l’operazione e’ stata un incubo. Non si trattava di un’ernia normale. Era un groviglio di anse abnormi e pesantissime che non si riusciva assolutamente a staccare dalla vaginale del testicolo. 
Ho avuto dei momenti di panico e di scoraggiamento, anche perche’ il malato e’ parente di un medico di Meru. 
La riduzione e’ stata molto difficoltosa perche’ c’erano aderenze e sinuosita’ anormali in quel lungo pezzo intestinale, che comunque ci sembrava vitale e che quindi non abbiamo pensato di recidere.
I problemi di questo paziente sono pero’ iniziati la notte stessa.
L’addome si e’ fatto subito durissimo e via via piu’ disteso. Ha poi complicato con vomito biliare. E’ stato giocoforza ritornare in sala, dove abbiamo diagnosticato un tremendo volvolo, con un annodamento delle anse veramente impressionante.
Con pazienza siamo pero’ riusciti a “svolgere” la matassa che apparentemente aveva come fulcro quelle anse pesanti e anormali di cui ho accennato sopra. Tale sospetta malformazione occupava almeno 50 cm dell’ileo terminale. Una resezione ileale semplice sarebbe stata improponibile, mentre un’anastomosi ileo colica all’ascendente avrebbe
da una parte rimosso un’ampia sezione di intestino.
Considerando il fatto che anche prima dell’erniorrafia la malformazione intestinale c’era, e riflettendo sul dato che il paziente non era occluso, abbiamo quindi deciso di riposizionare le
anse nel modo migliore possibile per evitare un nuovo volvolo, ed abbiamo richiuso.
Il malato ora e’ in quarta giornata. Non va male: la distensione addominale di sta riducendo; e’ canalizzato ai gas, anche se dal sondino nasogastrico ancora esce abbondante liquido bliliare.
Per lui sto incrociando le dita, sperando che le cose si mettano per il meglio.
Ci sono poi state prostatectomie, erniorrafie, isterectomie, appendicectomie; e poi tanta chirurgia pediatrica con ernie inguinali congenite, ernie ombelicali ed idroceli.
A tutto questo dobbiamo sempre aggiungere gli innumerevoli cesarei, gli immancabili raschiamenti uterini e le “pangate” che ci hanno sovente obbligati a trasformarci in chirurghi della mano.
Le fratture sono ormai routine e ne operiamo in media 4 o 5 al giorno.
Sono molto preoccupato dei pazienti con complicazioni intestinali, ma sono per ora tutti vivi e davvero spero che si salvino.
E intanto salutiamo e ringraziamo il Dr Postini che dopo due settimane intensissime in odontoiatria, ci lascia e torna a casa

Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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