lunedì 15 ottobre 2018

Di morire proprio non ne ho voglia

Durante la gravidanza della mamma non e’ stato per niente facile. Pur essendo solo un piccolo feto, io l’ho avvertito da tempo che non ero voluta. 
Attraverso i muri uterini che mi univano e mi separavano da lei, la sentivo spesso piangere: erano rumori ovattati, ma dolorosissimi per me, peche’ sapevo di essere la ragione di quelle lacrime.
Quando singhiozzava, i sussulti della sua pancia mi strattonavano in modo sinistro.
“Perche’ piangere per avermi messo al mondo? Sono stata forse io a chiedere di essere generata? 
Avrei voluto essere un dono per la mia mamma; invece sin dal primo istante mi sono sentita solo un peso ed un problema da risolvere a qualunque costo. Che brutto quando si inizia la propria esistenza da “non voluti”.
Mia madre diceva alle sue amiche che quel rapporto sessuale era stato un errore; che quel ragazzo irresponsabile ora negava la paternita’, e che lei si sarebbe trovata sbattuta fuori da scuola a causa di quella gravidanza iniziata per una leggerezza.
Io da dentro urlavo e le chiedevo come fosse possibile che io fossi uno sbaglio; volevo che mi spiegasse che cosa avessi fatto di cosi’ terribile, per meritarmi quella definizione.
Ma il triste e’ che i bimbi nel seno materno odono molto bene i discorsi ed i pensieri, belli o brutti, delle loro mamme... ma il viceversa non capita quasi mai.
Anche io piangevo... ma allo stesso tempo crescevo, forse contro il desiderio di mia mamma; e sempre piu’ in me si radicava la volonta’ di vedere il mondo di fuori, quello che dalla cavita buia delle acque amniotiche potevo solo ascoltare e immaginare, come se fossi cieca.


Ci sono stati dei veri terremoti, quando mia madre si prendeva a pugni sul basso ventre: l’ho sempre saputo che quelle percosse non se le dava per se stessa, ma per me. 
Io ero la creatura da picchiare, e probabilmente di cui liberarsi grazie ad una potente contrazione uterina riflessa. 
Mi direte che questi sono pensieri da adulto, e vi domanderete come faccia un “fetino” di pochi mesi a comprendere certe cose: il fatto e’ che siamo degli angioletti, e siamo molto vicini al cuore di Dio nella nostra innocenza... per cui di cose ne conosciamo molte di piu’ di quello che i grandi possano pensare. C’e’ chi dice che un feto non e’ ancora una persona umana: allora perche’ e’ cosi’ doloroso per me sapere che mia madre si voleva disfare di me?
Poi ho ascoltato quel colloquio terribile in cui la mamma ha tentato di porre davanti al mio cosiddetto padre il fatto che “la frittata era stata fatta”. Ho rabbrividito alle parole di quel giovincello che con noncuranza le ha dato dei soldi, e le ha consigliato di andare dalla fattucchiera per l’aborto tradizionale.
Ho cominciato a tremare e ad provare terrore. Sono un angioletto, e quindi lo so bene che ogni aborto provocato a quasi sette mesi di gestazione e’ un crimine, anche per la legislazione piu’ permissiva di questo mondo.
Ma come al solito, la mia genitrice, accecata ed assordata dal rifiuto nei miei confronti, non ha ascoltato la timida voce del rimorso, con cui io cercavo di farmi sentire.
E’ andata in quella catapecchia; ha parlottato con qualcuno che aveva la voce da strega; mi pare di aver capito che una ingente somma di denaro abbia cambiato padrone in quel momento.
Poi tutto quello che ricordo e’ una luce improvvisa che arrivava dal basso, seguita dal dolore acutissimo causato da un bastone che si infilava direttamente in uno dei miei occhi ancora chiusi.
Ho avuto male... tanto male; mi sono sentita frastornata e persa quando ho percepito che le acque in cui avevo sguazzato per molti mesi stavano uscendo come in una cascata attraverso quel sifone creatosi dopo l’incursione del ramo nemico.
Dopo un po’ ho avvertito un sapore diverso in bocca: quello che ora scorreva giu’ attraverso quel canale che avrei dovuto percorrere tra un paio di mesi per il mio ingresso trionfale nel mondo, era ora sangue vivo... sangue e coaguli piu’ grandi di me.
Ho cominciato a sentirmi sempre piu’ debole, e credo che la stessa cosa stesse succedendo alla mamma, perche’ ho avvertito voci concitate che parlottavano sulla necessita’ di portarla velocemente all’ospedale.
Questo mi ha dato speranza! Forse i dottori avrebbero fatto le loro alchimie, chiudendo la voragine, ripompando l’acqua necessaria, e fermando il torrente ematico.
Ho avvertito con un vuoto allo stomaco il momento in cui il medico ha estratto il bastone... e poi mi sono sentita risucchiare verso il basso come se fossi caduta nelle sabbie mobile.
Non c’era piu’ niente da fare; ero in caduta libera; non mi potevo afferrare da nessuna parte, ed ero sicura che nessun cerusico sarebbe riuscito a riposizionarmi in utero per permettermi di completare la mia crescita.
Mi sono ritrovata in un posto cosi’ luminoso da sentirmi accecata; tutto attorno a me c’era sangue: non ho capito se mio o della mamma.
Vicino a me faccioni strani si agitavano, mi schiaffeggiavano sulla schiena e mi massaggiavano. Poi mi hanno appesa per i piedi come se fossi un maiale, e mi hanno messo dei tubi nel naso per estrarre una cosa verde che non so bene cosa sia.
Da questa posizione anomala ho guardato per la prima volta il volto della mia mamma. L’ho vista a testa in giu’. Non sorrideva; era tristen ed arrabbiata. In me il dolore si e’ rinnovato.
Il fatto che io potessi respirare per lei non e’ stata una gioia ma una durissima sconfitta. Io ero e sono ancora viva; e sento che questo e’ il vero problema.
Non sono mai stata un dono; neppure nel primo istante; neppure quando ho emesso il primo vagito, che ha fatto sussultare l’ostetrica ma non mia mamma. L’infermiera ha esultato al mio pianto, senza comprendere che era in effetti un lamento disperato.
Ma io non volevo e non voglio morire. Piangero’ piu’ forte possibile.
Mi affannero’ a succhiare con tutti i muscoli che Dio mi ha dato. Non mi lamentero’ se mi chiuderanno per mesi in quel cassonetto caldo e umido che chiamano incubatrice.
Ma non voglio morire... non a questa eta’.
E poi lo so che le madri sono tutte uguali. Quando la mia avvertira’ la montata lattea ed avvertira’ la gioia delle mie labbra sul suo seno, sono sicura che imparera’ a volermi bene... di questo non ho il benche’ minimo dubbio!
E ricostruiremo il nostro rapporto di amore. Si’, sento che ce la faremo!

Bambina senza nome

PS: la piccola ha ora poco meno di due settimine; pesa 1100 grammi ed e’ una grande lottatrice. E’ forte e vivace.
Intanto e’ arrivato anche il latte per la giovane donna, che mi pare si stia “innamorando” della sua creatura.
Naturalmente facciamo il tifo per il lieto fine di questa “love story”, sui generis.
La bimba e’ a rischio di morte, essendo molto piccola, ed avendo uno sviluppo polmonare molto immaturo... ma non mettiamo limiti alla Provvidenza.
Il bimbo nella foto ovviamente e' un altro

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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