sabato 6 ottobre 2018

Il dramma di non avere figli

Apro la porta per accogliere il prossimo paziente ambulatoriale. Mi trovo davanti una donna esile ed altissima. Il suo corpo e’completamente coperto di nero, ed il chador lascia  intravvedere degli occhi vivacissimi attraverso la minima fessura.
Come sempre vengo attratto dall’aura di mistero che circonda queste creature completamente nascoste al nostro sguardo. 
Con lei entra un uomo che veste abiti tradizionali islamici e porta in mano il rosario con i 99 grani corrispondenti alle litanie di Allah che il buon musulmano prega continuamente.
Chiedo alla paziente quale sia il suo problema; mentre parlo, guardo il marito direttamente, perche’ so che lei non potra’ rispondermi.
Parlera’ solo lui. Lui mi dice che sua moglie non riesce ad avere bambini, dopo 3 anni di matrimonio.
Io mi rannicchio tra le spalle e mi sento impotente. Chiedo al marito se potro’ visitare la moglie, metterle una sonda ecografica sulla pancia, mandarla a fare esami di laboratorio anche un po’ privati. 
Su questo l’uomo non ha problemi, a patto che lui possa essere sempre presente durante tutti i test clinici.
E’ sempre stato un po’ imbarazzante per me visitare una malata sotto l’occhio vigile dello sposo, ma ormai, dopo anni, mi ci sono abituato.
Quando ho bisogno di chiedere qualcosa alla donna, mi rivolgo direttamente al partner. Per altro so che lei non mi comprenderebbe perche’ quasi sicuramente non e’ mai andata a scuola e non capisce il kiswahili. 


Completo tutti gli esami senza alcuna chance di vedere la ragazza in faccia. Riesco pero’ a capire che ha 18 anni. Con un rapido conto matematico, mi sovviene della pratica, molto comune al Nord, di sposare ragazze giovanissime, a volte di 14 o 15 anni di eta’.
Spiego al marito che tutti gli esami sono a posto; che la moglie ha un organismo perfetto e che forse si tratta solo di una immaturita’ biologica legata al fatto che il sistema genitale non e’ ancora completamente sviluppato, data la tenera eta’ in cui la giovane ha tentato di diventare mamma. Propongo una terapia medica di tre mesi per stabilizzare un eventuale disturbo ormonale.
Dico loro di prendere la situazione con calma, di non drammatizzare e di evitare atteggiamenti colpevolizzanti, perche’, se la donna viene troppo stressata da questo punto di vista, influenze psicologiche e segni di depressione potrebbero impedirle di concepire normalmente.
Poi abbozzo una domanda al marito, anche se mi aspetto gia’ la sua risposta: “Baba, sarebbe una cosa molto buona se anche tu ti sottoponessi a degli accertamenti, in quanto, come ben sai, avere un figlio o non riuscire ad averlo, dipende dalla moglie solo per il 50%.
Cosa ne dici, se facciamo uno spermiogramma?”
La risposta e’ stata un secco no. L’uomo, un po’ alterato per la mia interferenza, mi dice che lui e’ sposato anche con un’altra moglie dalla quale ha un figlio di 3 anni. 
Io insisto un po’, e gli ricordo che nel giro degli ultimi 3 anni qualcosa potrebbe essere cambiato, e che anche lui, nonostante il figlio primogenito, potrebbe essere responsabile dell’infertilita’. 
Dopo un breve dibattito mi accorgo che per me e’ inutile combattere una battaglia gia’ persa. Decido di dare la terapia alla ragazza che non ho mai visto in faccia, e li saluto augurando loro di avere successo nella loro ricerca di posterita’.
Avere figli e’ senza dubbio centrale in questa cultura, ancor piu’ che da noi in Italia. Una donna che non riesce a diventare mamma corre il rischio di essere abbandonata e mandata via di casa dal marito. 
La maternita’ e’ il ruolo principale di una sposa. Se per una ragione o per l’altra i figli non arrivano, le relazioni familiari spesso si incrinano fino alla separazione, cosa drammatica per una donna che non riceve eredita’ dai genitori e deve il suo sostentamento unicamente al marito. Questo fatto mi ha turbato molto sin dal mio primo giorno d’Africa. 
Infatti, avevo sempre pensato che il matrimonio fosse un patto d’amore tra un uomo ed una donna, e che i figli ne fossero solo i frutti... importanti si’ ma non necessari. 
Ritenevo ingenuamente che anche senza di essi l’alleanza amorosa fosse duratura e forte, in quanto un uomo lascia il padre e la madre per la sua donna, ed essi diventano una carne sola. Pero’, con il passare degli anni mi sono reso conto che il rapporto di coppia qui e’ pensato in modo diverso.
E’ come se i bambini, soprattutto i maschi, fossero il fine principale per cui ci si sposa.
Anche se ci sono molte eccezioni, spesso si assiste poi ad un pensiero fisso riguardo a tale problema: l’infertilita’ dipende dalla donna.
Cio’ sovente causa difficolta’ anche all’iter diagnostico, perche’ ci si deve fermare a meta’ di tutti gli esami possibili, in quanto l’uomo si sente immune da tali problemi.
In questo campo ho assistito a veri e propri drammi, con donne ripudiate e risposate da altri per 2 o 3 volte, per essere poi ancora sole alla fine, quando anche l’ultimo consorte le ha cacciate.
Ma la situazione non e’ meno semplice nei casi in cui riesco a scoprire che e’ il marito ad essere sterile. Anche in questo caso si puo’ assistere a veri e propri episodi di depressione grave da parte di entrambi i coniugi.
Qui in Africa la pressione dell’opinione pubblica al riguardo e’ altissima: una coppia senza figli e’ subito additata come una realta’ problematica, sia nel clan come all’interno della vita sociale del villaggio.
A volte il marito risponde alla notizia dell’infertitita’ con la negazione freudiana dell’evidenza, ed accusa ancora la moglie... poi si fa delle amanti da cui pero’ non riesce ad avere bambini. Per cui la crisi della coppia aumenta in modo esponenziale e diventa devastante.
Sono ancora pochi coloro che pensano all’adozione, e la situazione non e’ certo resa piu’ semplice dalla paura dilagante di adottare un bambino che magari poi si rivelera’ sieropositivo per HIV. Molta gente pensa inoltre che il comportamento futuro dei figli dipenda esclusivamente dalla componente cromosomica, per cui temono che il bimbo adottivo poi si riveli un assassino o un ladro, a causa di cattivi geni ricevuti dagli ignoti genitori.
Ho anche assistito a situazioni strane, in cui la moglie, pur di non far cadere il marito sterile in depressione, segretamente organizza di concepire con un parente stretto dello sposo, in modo che quest’ultimo abbia l’illusione di essere riuscito a diventare padre.
Queste sono solo alcune pennellate su un quadro davvero complesso e profondamente iscritto nella natura e nella cultura della gente che vive in questa parte del mondo. Io osservo, cerco di capire per quanto ne sono capace, e di aiutare se possibile, ma soprattutto non voglio giudicare nessuno...
Per tutti la procreazione e’ centrale, ma da noi in Africa lo e’ ancora di piu’. Essere sterili ha qui valenze bibliche vetero testamentarie ( ricordiamo solo Elisabetta del Vangelo per esempio).
A volte comunque riesco anche ad aiutare queste coppie. Siamo riusciti a far nascere almeno una cinquantina di bimbi da sposi che pensavano di non poterne avere. 
Le percentuali di successo sono piu’ elevate quando si tratta della donna: con lei possiamo agire sia curando eventuali infezioni, sia correggendo uno squilibrio ormonale, sia operando chirurgicamente un blocco delle tube. Se invece ci troviamo di fronte ad una infertilita’ maschile, le nostre armi si riducono praticamente a zero, e molto spesso dobbiamo fare solo counseling.
So comunque che la gente viene a Chaaria colma di speranza anche su questo problema cosi’ difficile da risolvere. Noi cerchiamo di offrire tutta la nostra competenza, la nostra umana comprensione, ed insieme anche la nostra speranza di non essere soli a lavorare per loro, perche’ insieme alle nostre mani, sempre ci sono quelle di Dio Padre che ci guida e a volte ci concede dei successi umanamente insperati.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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