giovedì 10 gennaio 2019

Alle due di notte

Ed ancora una volta suona il telefonino.
Riconosco il numero e non ho dubbi di che cosa si tratti. Quando rispondo, le parole sono poche: "c'e' un cesareo"
Mi avvio in ospedale un po' assonnato ed un po' di cattivo umore...e faccio la spinale.
Chiamo a questo punto il volontario reperibile a cui ho concesso altri 15 minuti di nanna, ma lui non risponde al telefono (mi dira' l'indomani di non averlo sentito).
Mi sale il panico in gola e provo a chiamare il secondo volontario disponibile.
Lui fortunatamente risponde e si alza...meno male!
Si tratta di una donna appena arrivata da casa.
Ha due pregressi cesarei ma ha travagliato a domicilio sin dal mattino per motivi difficili da capire. Ora e' a dilatazione completa.
Procediamo con il cesareo ma troviamo un vero disastro.
E' una rottura d'utero.
Il bimbo fortunatamente e penso miracolosamente e' vivo e piange forte dopo l'estrazione.
L'utero pero' e' in condizioni tremende.


Mi appresto comunque a ripararlo, sia perche' la situazione notturna dello staff non e' delle migliori per fare una isterectomia d'urgenza, e sia anche perche' non potrei mai farla senza il consenso del marito.
Dopo quasi due ore di lavoro l'utero riprende la sua forma e noi ci apprestiamo a chiudere il peritoneo.
La mamma e' stabile e totalmente ignara del rischio che ha corso con il tentativo di parto a casa.
Mi avvio verso camera mia che sono le 4.30.
Mi viene male a pensare che stamattina alle 8 devo essere di nuovo in sala.

fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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