domenica 21 marzo 2010

Non sempre vinciamo noi

Kiende e’ una bimba di circa 3 anni portata al Cottolengo Mission Hospital questa mattina dopo Messa dalla sua mamma.
Secondo quanto la donna mi ha detto, sua figlia ha avuto tre episodi di convulsioni generalizzate durante la notte, e, dopo il primo episodio, e’ entrata in un coma profondo che continua anche ora.
La madre aveva comunque notato che la sera precedente era piu’ calda del solito, e che aveva rifiutato di mangiare. Ma nei giorni precedenti Kiende era stata benissimo, ed era molto vivace.
Durante la notte i genitori avevano portato la bambina in un dispensario vicino a casa, dove l’infermiere aveva posto una diagnosi presuntiva di malaria ed aveva iniettato una dose carico di chinino intramuscolo prima di consigliare loro di mettersi in cammino verso il nostro ospedale.
La donna mi assicura che la bimba ha ricevuto tutte le vaccinazioni prescritte. Spesso, nei mesi precedenti, l’aveva trovata febbrile ed aveva deciso di comprare antimalarici e paracetamolo, senza mai andare in ospedale. Kiende era comunque sempre migliorata. La madre non nega che a volte si era anche rivolta a dei guaritori tradizionali.
Visito la piccola che ha un coma cosi’ profondo da non essere risvegliabile, neppure con pizzicotti o stimolazioni dolorose molto intense. Non ha rigidita’ nucale, ed i suoi occhi mostrano un lieve strabismo divergente, che, a detta dei genitori, non era presente quando la loro figlia stava bene. Guardo con preoccupazione la posizione degli arti. Sono estesi e rigidi, cone le mani ripiegate in estrema flessione... e’ un brutto segno di “decerebrazione”, che indica una prognosi molto riservata.
Ha febbre alta (41 gradi centigradi); pero’ non appare anemica e non ha ittero. Le mettiamo subito una supposta di paracetamolo, le togliamo i vestiti e la copriamo con delle spugne imbevute di acqua fresca.
Invece il suo respiro non mi piace: fa fatica ad inspirare ed usa abbondantemente i muscoli intercostali, nella sua estrema fame d’aria. Anche le narici si allargano al massimo quando inspira, quasi nel tentativo di immagazzinare piu’ ossigeno. Ogni tanto da’ un respirone molto profondo, dopo di che’ smette di respirare per 10-15 secondi. Le sollevo la pelle con un pizzicotto: non mi pare disidratata. La madre mi dice che non ha avuto ne’ diarrea ne’ vomito.
La glicemia e’ estremamente bassa. Per un attimo spero che il coma sia dovuto esclusivamente ad ipoglicemia. Faccio prendere rapidamente una vena dalle nostre infermiere piu’ esperte, e prescrivo l’iniezione lenta di destrosio 50%... ma purtroppo le condizioni generali non migliorano affatto.
Essendo la febbre cosi’ alta, facciamo subito il test della goccia spessa, e troviamo una alta densita’ di malaria. Decidiamo quindi di continuare con la terapia a base di chinino.
Per essere completamente sicuri che non ci sia una concomitante meningite, eseguiamo una puntura lombare: liquido limpido ed esame biochimico e parassitologico negativi. Deve essere una malaria cerebrale che poi le ha causato un distress respiratorio. Per questo, isieme al chinino le somministriamo anche del Rocephin.
Il pannolino e’ tutto bagnato: quindi i suoi reni funzionano. Dopo 4 ore la glicemia e’ sotto controllo, ma il coma permane inalterato. Poi il respiro diventa periodico, e rapidamente si trasforma in “gasping”: tentiamo la rianimazione, ma ci arrendiamo dopo circa un’ora.
La malaria si e’ portata via anche Kiende: e’stata una forma cerebrale e fulminante, che ha avuto la meglio su di lei, anche se la diagnosi corretta era stata fatta gia’ a livello del dispensario periferico... e nonostrante il chinino somministrato molto precocemente ed alla dose corretta.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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