giovedì 15 luglio 2010

Lettera di Donatella Marcaccio di Roma

Ho letto e riletto tra le lacrime (e sono anni che non piango) le parole piene di dignità di Josephine, che ha pure il cuore di pregare Dio per Ugo, che se lo stramerita, e per me. Sono io invece a implorare con tutta la mia forza il Dio dei diabetici di stendere la sua mano su di lei e sugli altri ragazzi e di fare quel miracolo al quale Josephine, nella sua dolorosa consapevolezza, non spera nemmeno più. Certo, il regalo di Ugo le ha risolto i problemi economici,ma per il resto c'è solo da sperare in Dio, vicino al quale si trova ora Martin, morto di diabete e indisponibilità economica. Mancanza di soldi, questa è la loro tragedia, oltre amille altre carenze alle quali Fratel Beppe cerca di ovviare facendo i salti mortali. Fai sapere
a Josephine che, per i nostri 25 anni di matrimonio, Flavio ed io abbiamo raccolto tra parenti e amici 2000 euro, che sono la prima pietra di quel fondo di cui abbiamo parlato con Fratel Beppe circa un mese fa e che lui saprà gestire nel migliore dei modi. Leggo poi degli occhi di Josephine e mi chiedo se a Chaaria vadano degli oculisti e se possano fare dei trattamenti laser per la retinopatia. Abbracciala forte da parte mia, capisco la fatica esasperante dei controlli continui, il senso di sconfitta e di impotenza, il corpo che ti diventa nemico, il futuro che si accorcia...  ma Dio la proteggerà e la sosterrà.
Un saluto a Fratel Beppe, che riesce a fare miracoli quotidiani e a te.
 
Donatella 
P. s.: speriamo di riuscire a fare il bonifico stasera, il ritardo è dovuto al brutto morbillo che ha preso la nostra Violetta, curato soprattutto dal solito, impagabile, Ugodoc.

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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