sabato 28 agosto 2010

C'era una volta...

Arrivare molto vicino ai 50 anni mi ha trasformato in un borbottone noioso che sempre si lamenta e pensa ai bei tempi antichi in cui tutto era perfetto, facile e roseo.
Sono assolutamente cosciente di cio’, per cui attribuite alle mie parole il peso che dareste allo sproloquio di un vegliardo arteriosclerotico che ha bisogno di sfogarsi. Soprattutto non pensatele riferite ad alcuno in particolare. Non ce l’ho con nessuno!
Sono infatti riflessioni un po’ fuori moda su quello che oggi si potrebbe chiamare un nuovo “trend” che osservo ormai da vari anni.
Normalmente i trend diversi non piacciono ai vecchioni che sono attaccati alle loro abitudini ed alle loro salde tradizioni... per cui quello che dico e’ probabilmente fuori luogo e me ne scuso in partenza.
Oggi la mia mente si e’ fissata in modo ostinato su un argomento un po’ secondario, ma forse neanche piu’ di tanto... specificamente sui momenti di svago per i volontari.
All’inizio del movimento del volontariato a Chaaria mi sembrava molto facile organizzare il tempo libero delle persone che venivano ad aiutarci.
Il sabato pomeriggio libero quando si poteva, magari con una passeggiata a Chaaria... e poi una “uscita” tutti insieme alla domenica.
Non ricordo grosse complicazioni riguardo alla gita domenicale.
Qualche gruppo voleva andare al Parco Nazionale, ed in questo caso si organizzava con un matatu che i volontari pagavano direttamente... e normalmente il gruppo era compatto.
Generalmente pero’ cercavamo di conferire alle ‘uscite’ anche una valenza formativa di “introduzione” all’Africa: si andava a visitare altre realta’ missionarie soprattutto cottolenghine... ma non solo.
I gruppi si recavano a Mukothima, Gatunga, Tuuru. C’era poi la frequente uscita a Matiri per visitare il nuovo ospedale la’ costruito dalla cooperazione italiana; questa era certo una bella occasione per un confronto con la realta’ di Chaaria (il nostro ospedale e’ molto piu’ indietro  e meno equipaggiato del loro!). Ci si portava sovente a Nkabune per far visita agli orfani che erano stati a Chaaria da piccolissimi; oppure a Mujwa per passaree un pomeriggio con gli street boys di Huruma Centre.
Qualche volta la macchina dei volontari puntava verso Kiamuri a fare una improvvisata al Centro di Salute delle Suore di Nazareth; o magari si inerpicava su per la montagna fino alla foresta di Mukululu, dove Fratel Argese ha realizzato un sistema di raccolta e distribuzione dell’acqua che gli ha guadagnato un riconoscimento internazionale a New York.
La cosa bella era comunque che i gruppi erano uniti; i volontari uscivano tutti insieme... o e’ una “rimembranza” leopardiana, travisata da tutto quell’alore roseo che colora il passato?
Non ho memoria di grosse discussioni tra i volontari: se si andava a Tuuru, si andava a Tuuru... magari per un’ altra destinazione si avanzava una proposta per la domenica successiva!
Poi pian piano questo clima e’ andato mutando (vorrei dire deteriorando, ma non so se tutti la penserebbero come me... forse e’ un trend od una evoluzione): molti hanno iniziato a dire che non avevano intenzione di uscire da una Missione semplicemente per andare a spendere il poco tempo libero in un’altra. Altri hanno cominciato a manifestare il bisogno di spendere del tempo in un “resort turistico” o qualcosa del genere.
I gruppi si sono pian piano divisi.
A volte chiamavamo l’autista di domenica (pagandogli quindi gli straordinari), pensando che avrebbe accompagnato in gita sei persone o giu’ di li’... e poi ci rendevamo conto che per l’escursione prefissata il 50% o piu’ aveva cambiato idea, con il risultato che il conducente lo avevamo fatto venire per due volontari solamente.
Chi non si univa al gruppo spesso preferiva Meru con le sue attrazioni, raggiungendola con la motocicletta o con il matatu pubblico: Meru e’ una cittadina che in qualche modo puo’ assomigliare un po’ all’Occidente. La’ puoi trovare grossi supermercati che potrebbero imitare la Rinascente. Ci sono anche dei pub in cui puoi bere birra e farti assordare dalla musica a tutto volume; ci sono almeno due discoteche, a quanto ne so io.
E’ nato quindi questo movimento di “gite” a Meru, dove si va a volte solo per fare shopping al supermercato, e poi ritirarsi in un bar.
La cosa mi e’ parsa un tantino strana visto che di supermercati se ne puo’ trovare anche in Italia, mentre per esempio l’esperienza di Kiamuri in un heath centre fuori dal mondo potrebbe essere piu’ difficilmente riproducibile a Torino, Milano o in qualunque altra citta’ d’Italia. E poi si tratta di 3 o 4 settimane di esperienza!
Le uscite domenicali sono diventate sempre piu’ problematiche per me da ‘pensare’ e da organizzare perche’ i singoli elementi dei gruppi hanno interessi molto diversi tra di loro. E’ certamente andato calando il valore di turismo ‘culturale-missionario’ che le escursioni avevano in passato, ma probabilmente questo esprime semplicemente un trend diverso di interessi nelle generazioni che cambiano... e io devo ammettere che sto rimanendo indietro.
Prendete queste parole solo come un’opinione personale, e, se non siete ancora venuti a Chaaria e vi preparate a farlo, sentitevi completamente liberi per le uscite domenicali...andate dove meglio ritenete di potervi ricaricare per il duro servizio di Chaaria.
Quelli che avete letto erano solo i pensieri a briglia sciolta di un vecchio nostalgico dei bei tempi che furono. Ma i vecchi sono noiosi, e poi bisogna anche lasciarli parlare.

Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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