lunedì 9 agosto 2010

Ho dovuto riparare una mano maciullata da un machete...

… ed e’ stata una impresa incredibilmente ardua!
Arterie che sanguinavano dagli spazi interossei e che non si riusciva a circoscriveve con il filo, in quanto era troppo difficile far girare il porta-aghi in quegli spazi angusti.
Quanta adrenalina e’scorsa a fiumi nelle mie vene ogni volta che il sangue riprendeva a pulsare ed a zampillare dopo ogni mio tentativo fallito.
Poi ritrovare i tendini tranciati… che impresa prometeica!
I tendini si ritirano quando non sono piu’ attaccati al posto giusto, dove li ha voluti il Creatore.
Sembra un assurdo, ma, per riparare un taglio, bisogna tagliare ancora e risalire sempre piu’ in alto lungo il polso… finche’ finalmente ritrovi quell’importantissimo cavo color madreperla, che quindi tenti di trazionare dolcemente fino a raggiungere la sua parte distale che era rimasta tranciata ed inutile nella rima della ferita.
Bisogna cucirlo con attenzione, perche’ il tendine e’ forte e delicatissimo nello stesso tempo… c’e’ il pericolo di storcerlo o di sfilacciarlo… compomettendo magari per sempre la motilita’ di quella mano. Ed il primo compito che Ippocrate ci ha affidato e’ quello di “non nocere”.
Bisogna lavorare con il massimo della concentrazione, sempre focalizzati sul futuro di quella mano… un futuro  che dipende completamente da te.
Ed i nervi?
Quelli proprio non son capace di ritrovarli… mi dispiace se avra’ delle aree anestetizzate anche in futuro, ma cosa ci posso fare? Non sono un chirurgo della mano, e non ce ne sono sul mercato qui da noi!
Quando finalmente chiudo la cute e prepare la doccia gessata, penso a quei chirurghi al “cromo-vanadio” che operano in zone belliche e devono cercare di recuperare qualcosa da un arto esploso su una granata o su una mina.
Non so come facciano, e li ammiro veramente tanto.

Fr Beppe Gaido
 
 
Oggi abbiamo deciso di trasferire Lisper a Tuuru dove le suore del Cottolengo gestiscono un programma specifico per il kwashiorkor.
Credo che così possa riprendersi prima. Il papà andrà a casa anche perchè non sembra positivo per il recupero di Lisper.
Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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