giovedì 16 settembre 2010

Farmacopea

Ogni Paese ne ha normalmente una sua propria.
Questa in genere tiene conto sia della prevalenza delle varie patologie, sia di vari fattori economici e di suscettibilita’ ai diversi prodotti da parte della popolazione generale.
Per esempio in Italia non si trovano facilmente farmaci come gli antimalarici basati sull’artemisina, oppure come il praziquantel per la bilharzia...
Per contro medicine come i sartani, ampiamente usati oggi in Italia per l’ipertensione, hanno prezzi inavvicinabili qui da noi e non possiamo proporli per pazienti in terapia cronica: finirebbero i soldi prestissimo e non comprerebbero piu’ il prodotto, con effetti ancor piu’ disastrosi per la loro salute.
Quando prescriviamo un nuovo antibiotico (per esempio una cefalosporina o un chinolonico in monosomministrazione giornaliera) normalmente dobbiamo stare attenti che l’uso di quella famiglia di molecole sia adeguata al problema che stiamo trattando e che non si usino cannonate per sparare su un moscerino. Inoltre onestamente dobbiamo valutare se tutti gli antibiotici piu’ vecchi effettivamente abbiano fallito. Infatti, l’uso inappropriato  ed estensivo di novita’ farmacologiche porterebbe a resistenze precoci,  rovinando la nostra popolazione ancora largamente sensibile a vecchi antibiotici ormai obsoleti da tempo in Europa.
Pero’, somministrare un antibiotico per 1 settimana non costituisce un grosso problema perche’ di solito abbiamo in stock tutte le compresse necessarie per giungere al termine dei giorni prescritti.
Quando invece scegliamo farmaci ipotensivi, antiepilettici o antidiabetici non facilmente reperibili in Kenya, facciamo una scelta molto piu’ pesante, e su cui dobbiamo ponderare seriamente.
Prendo come esempio un sartano: se decido che lo devo prescrivere, mi devo fare alcune domande, e devo implementere alcune linee di azione.
La prima domanda e’: sono sicuro che lo stock del Cottolengo Mission Hospital sara’ costante per 12 mesi all’anno? Oppure il farmaco sara’ presente in modo erratico, solo quando per caso lo si trova nelle donazioni?
Normalmente un farmaco di uso cronico non deve essere prescritto se non siamo sicuri di poter assicurare il paziente che glielo forniremo in modo continuativo e per lungo tempo.
Infatti il giorno in cui gli dicessimo che la scorta e’ finita, il malato potrebbe non avere soldi a sufficienza per comprarsi il prodotto in farmacia.
La seconda domanda e’: sono sicuro che il cliente abbia i mezzi per venire sempre da noi per il rifornimento di medicine? Un paziente che proviene dai confini con l’Etiopia potrebbe trovare costosissimo il venire da noi, non tanto per il prezzo stracciato ed irrisorio dei nostri medicinali, quanto per quello dei mezzi pubblici (quasi 600 chilometri di distanza).
Anche se si sceglie di prescrivere un farmaco non facilmente accessibile, comunque bisogna ricordarsi di usare sempre il nome chimico. Il nome commerciale cambia a seconda della ditta produttrice. Qui quasi tutti i farmaci provengono dall’India ed il nome commerciale sara’ quasi costantemente differente da quello in uso in Italia.
Se si scrive un nome commerciale sconosciuto in Kenya, ed il malato afferisce ad un altro ospedale, nessun medico comprendera’ quello che gli abbiamo prescritto... e cio’ vanificherebbe i nostri sforzi!
Un’altro accorgimento importante (che poi si inquadra nel rispetto reciproco) e’ quello di spiegare al nostro staff di che cosa si tratta...se un nostro infermiere sa che cos’e’ la lamotrigina (farmaco antiepilettico non facilmente reperibile da noi), si rendera’ meglio conto dell’importanza della terapia, e non tendera’ facilmente a tirare su le spalle ed a dire: “non in stock”..
Se invece legge un nome che nessuno gli ha mai spiegato a scuola, tendera’ a dare al prodotto meno importanza di quella che esso merita.
Siamo tutti uguali! Quello che abbiamo imparato a scuola conta sempre di piu’ di quello che ci dice uno sconosciuto venuto pochi giorni prima da una nazione lontana.
Tale attenzione per altro unirebbe sia lo scopo di fare il bene del paziente che quello di “formare” i nostri infermieri e clinical officer.
Altra attenzione importante dovra’ essere rivolta al personale del magazzino farmaci: pur avendo fatto un corso come tecnici di farmacologia, la loro formazione e’ piuttosto limitata.
Sovente essi non sanno classificare i farmaci che provengono dall’Italia, sia perche’ non sono in uso in Kenya, sia perche’ il foglietto illustrativo e’ scritto in una lingua che essi non conoscono.
E’ un atto di carita’ verso di loro se un medico italiano spiega loro a quale classe farmacologica un prodotto appartiene, e quale ne sia l’uso: in tal modo i nostri addetti al magazzino sapranno dove collocare le medicine, che saranno meglio visibili e meglio accessibili... evitando tra l’altro anche sprechi.
Se un medico italiano presenta le medicine allo staff (del giorno e della notte), ed aiuta a collocare i farmaci sugli scaffali, si eviteranno tante inutili scaramucce... come quando per esempio sento dire: “ho prescritto quel farmaco. L’ho visto in magazzino... e qualcuno ha deciso di non darlo”.
Non penso che un nostro infermiere o un nostro addetto al magazzino possano decidere una cosa del genere. Quello che normalmente capita e’ che non ricordano neppure dove abbiano messo una scatola scritta in una lingua straniera di cui non sanno bene la classificazione.
Altra considerazione potrebbe essere fatta per i sisteni transdermici, sia analgesici, come cardiologici, o ipotensivi: i nostri infermieri non ne conoscono l’uso e devono essere formati passo dopo passo, in modo che possano a loro volta trasmettere i concetti base al malato.
Queste sono solo idee allo stato brado che ho buttato giu’ come mi venivano.
Spero comunque di aver sollevato un problema e di essere aiutato nella sua soluzione.

Fr Beppe Gaido



2 commenti:

Dr. Ugo Montanari ha detto...

Una domanda: è noto che gli ACE-inibitori hanno scarsa efficacia come anti-ipertensivi nelle etnie nere. La cosa è estensibile anche ai sartani? Cercherò anche in letteratura... ma, chissà perché, resta per me molto più importante il parere di baba Beppe.

Rendo noto che qui in Italy le varie Regioni ed ASL stanno mettendo in atto una serie di provvedimenti per limitare l'uso dei sartani per il loro costo esagerato: come anti-ipertensivi non sono certo migliori degli ACE-inibitori, a cui restano comunque inferiori per la terapia dell'insufficienza cardiaca.
Fino ad oggi gli studi scientifici sui sartani hanno prodotto risultati tuttalpiù di parità con gli ACE-inibitori (e non sempre) e non certo di superiorità... per cui, a pari efficacia, perché prescrivere un farmaco da 30 euro invece che uno che ne costa solo quattro????

Io stesso, con i miei colleghi, sono impegnato in una graduale revisione di terapia nei confronti dei miei pazienti, tendendo a soppiantare i sartani con gli ACE-inibitori.

L'aggiornamento della LG NICE (National Institute of Clinical Excellence) del NHS britannico sull'ipertensione suggerisce per le etnie nere il Calcio antagonista come primo farmaco associato o meno al diuretico, col beta bloccante in seconda battuta.

Il nostro gruppo ha sottoposto un pool di LG sull'ipertensione all'analisi con lo strumento AGREE, da cui è emersa la netta superiorità della NICE e noi stiamo cercando di applicarla..

Le LG NICE e SIGN sono per default non sponsorizzate e , qui da noi, NON sono di moda perché si preferiscono LG abbondantemente sponsorizzate e viziate da conflitti di interessi... ti stupisce ciò?

In questo siamo decisamente "controcorrente", anche perché dobbiamo scaricarcele in madre-lingua e poi tradurcele, visto che le big-pharma non sono interessate alla traduzione di tali testi...anche questo ti stupisce?

Mi scuso per la prolissità.

ugodoc detto kiboko

Anonimo ha detto...

Caro Ugo,
in molti seminar a cui ho partecipato si dice che i neri hanno dosaggi più bassi di renina e che la renina è molto meno coinvolta nella genesi dell'ipertensione nel nero che non nel bianco.
Noi seguiamo normalmente linee guida britanniche (il British National Formulary è la nostra Bibbia farmacologica)e quindi concordiamo in pieno con quanto scrivi sul fatto che il calcioantagonista spesso unito ad un diuretico (per lo più tiazidico)sia la prima linea di trattamento.
Grazie del tuo commento sui sartani che comunque per ora non avevo intenzione di introdurre nella farmacopea del Cottolengo Mission Hospital.
Fr Beppe Gaido


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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