venerdì 19 novembre 2010

Briciole da Chaaria

L’ambulatorio è reso molto stressante dal continuo arrivo di bambini gravissimi, che spesso giungono a noi quando è troppo tardi. E’ il caso di Joy, che per 4 giorni era stata curata con uno sciroppo antibiotico presso il dispensario del villaggio: alla mamma era stato detto che la bambina aveva la polmonite e che questa era la ragione del suo ansimare. In realtà, quando Joy giunse a Chaaria aveva una emoglobina di 3 grammi (praticamente il suo sangue era acqua). Era così collassata che non si trovavano vene, per cui con fatica avevo incannulata la giugulare: iniziava una corsa contro il tempo. Il suo gruppo era 0 positivo e non avevamo sangue compatibile in ospedale. Abbiamo chiesto alla mamma di donare, ma lei ci disse che era nuovamente incinta. Non rimaneva che scegliere un donatore altrove. Abbiamo chiesto ai volontari, ma nessuno era 0 positivo. Siamo quindi stati costretti a chiedere a Mururu (nostro ricoverato debole mentale) che ha accettato a patto che poi lo portassimo a casa a trovare suo padre. Abbiamo raccolto il sangue, ma dopo averlo collegato alla vena di Joy, lei è spirata. Non eravamo arrivati in tempo. Ancora una volta la morte è stata più forte. La disperazione della mamma ci attanagliava il cuore, ma non ci si poteva fermare. Altri pazienti aspettavano il nostro aiuto, per cui abbiamo lasciato la mamma alle cure di Judith, la quale ha cercato di consolarla mentre noi riprendevamo la lista dei pazienti ambulatoriali.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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