Il titolo di questa relazione da subito richiama una correlazione temporale: l’oggi presuppone che ci sia un domani e che ci sia stato un passato. Ed è proprio a questo passato che desidero riallacciarmi richiamando alla vostra attenzione la relazione da me fatta nel 2005 a proposito della storia dell’odontoiatria di Chaaria. Vi dicevo allora che non solo questa storia coincideva con la storia del volontariato in quanto il volontariato era nato con l’odontoiatria, ma soprattutto che l’odontoiatria, ad un certo momento del suo sviluppo, aveva ritenuto opportuno cedere il passo all’ospedale. Nel 1998 con l’arrivo di Fr. Beppe e la trasformazione da dispensario ad ospedale, la struttura di cui stiamo parlando aveva nuove importanti necessità e diventava incompatibile sviluppare contemporaneamente l’ospedale con la sua strumentazione e attrezzature, la sala operatoria e lo studio dentistico. Così c’è stato un lungo periodo di stallo e forse anche di involuzione.
Due anni e mezzo fa (nell’aprile 2008) l’associazione riceveva un appello da parte di fr. Beppe a rinnovare le strutture dello studio dentistico e a dar nuova vita a questo servizio in quanto la richiesta era in crescita e l’attività estrattiva in pratica pesava sempre su di lui già oberato da altre incombenze. Si è subito elaborato un progetto la cui peculiarità era di prevedere per le due postazioni di lavoro una strumentazione totalmente interscambiabile, in modo tale che in caso di avaria di un componente si potesse ricorrere a quello dell’altra postazione. Dopo il progetto i preventivi, a cui è seguita una lenta (forse troppo lenta) realizzazione che ci ha portati allo studio attuale. Studio che ho avuto modo di provare, lavorandoci dentro (è l’unico modo per vedere se funziona) in ottobre, quando mi sono recato a Chaaria. Lavorando ho messo a punto la posizione delle poltrone e della strumentazione e alcune soluzioni organizzative per sfruttare al meglio questa struttura sia sotto il profilo della nostra comodità di lavoro, sia sotto il profilo di quello in cui questa comodità si trasforma, cioè un miglior servizio ai pazienti in termini qualitativi (prestazioni più accurate e impegnative, maggior impegno per l’igiene e la sterilizzazione e in termini quantitativi (numero delle prestazioni). Ma anche se possiamo proprio dire di essere sulla strada giusta, bisogna però anche dire che non è finita, che mancano ancora alcune cose importanti e che sarebbe proprio un peccato se considerassimo esaurito l’impegno per lo studio dentistico. Infatti il completamento dell’indipendenza della seconda postazione di lavoro con l’adozione di un altro gruppo di strumentazione rotante e l’acquisizione di una autoclave rapida sono obiettivi che dobbiamo assolutamente conseguire al fine di poter gestire al meglio i pazienti che ogni giorno si presentano.
Qualcuno dirà: ma ne vale la pena? Tutto questo sforzo, tutte queste energie e diciamolo pure tutti questi soldi? La mia risposta è sì, sì, sì. Non perché lo dico io che sono del mestiere e che potrei essere, anche solo per motivi simbolici o di puro amor proprio, interessato, ma perché è la realtà dei fatti a dirlo, sono i nostri pazienti a dirlo, sono le prestazioni che ci richiedono. Per inciso io è dal ’94 che periodicamente presto questo servizio e la trasformazione delle richieste dei pazienti in questi sedici anni è una cosa che salta agli occhi, non è vero che l’Africa è ferma! Anche se sembra immutabile per quanto riguarda le cose materiali o i servizi, almeno il pensiero cambia, la mentalità cambia, c’è evoluzione sotto questo profilo. In altre parole se nel ‘94 facevano solo estrattiva, ora, a dispetto della nostra stanchezza, del tempo che manca, dei numerosi pazienti che aspettano ancora mentre si sta facendo notte, sempre più gente ci richiede di devitalizzare, di ricostruire, ci richiede una sostituzione protesica. E sono tutte cose per le quali occorre tempo, occorrono le due poltrone così, anche se sei da solo, mentre fai un lavoro impegnativo su una poltrona, mentre attendi che l’ipoclorito agisca dentro ad un canale, puoi fare la visita o l’estrazione sull’altra. Poi lo dicono i numeri. Ho portato da Chaaria le statistiche delle prestazioni effettuate negli ultimi anni dalle quali emerge chiaramente che ad una attività estrattiva sostanzialmente costante, considerando le interruzioni per i lavori di ristrutturazione, si contrappone il lento ma continuo aumento della conservativa e tutto ciò nonostante i disagi di avere una struttura in via di trasformazione e del fatto che la strumentazione è da completare ancora ora.
Due parole su Mercy e Eunice. A mio avviso la loro presenza è estremamente importante, non solo perché rappresentano la continuità dell’odontoiatria di Chaaria anche quando non vi sono volontari, ma soprattutto perché sono il vero elemento nuovo di questo servizio. Mi spiego meglio. Mercy è una “clinical officer”, una sorta di “laurea breve” diremmo noi ed è in grado di svolgere la normale attività clinica, almeno quella che è richiesta a quelle latitudini. Quello che è singolare in lei è che è in grado di lavorare anche a testa in giù, adattandosi praticamente a qualsiasi situazione con una duttilità che sicuramente a noi manca e al tempo stesso con una notevole disponibilità ad apprendere le nostre tecniche, tecniche che hanno il solo vantaggio di dare qualità alla prestazione in tempi più veloci. Io sono arrivato a Chaaria con tutti i miei vassoi, i miei ferri, il mio materiale perché sapevo che ci sarebbe stato un po’ di marasma. Nessuno degli elaboratori del progetto ci era già stato e quindi era normale che non tutto fosse in linea con quanto avevamo preordinato. Ma man mano che, mettendo ordine nel materiale, preparando i cassetti a seconda della funzione, sistemando la strumentazione rotante, man mano che mi avvicinavo a quanto progettato, man mano che capivo come lavorava Mercy prima di me, ho cominciato a eliminare le mie cose e ho cominciato, uno alla volta a usare i materiali e i ferri di Mercy, cercando di integrarli con i miei e apportando qualche elemento nuovo, sia sotto il profilo strumentale che sotto quello organizzativo. Ho stilato inoltre un elenco di materiali da lei usati per poter provvedere al loro approvvigionamento in modo che tutti possano usare gli stessi, perché è proprio questo che dobbiamo fare: sforzarci tutti di creare una linea di lavoro unica che sia un po’ la sintesi tra quello che svolge normalmente un dentista africano e l’apporto dato dai dentisti volontari.
Eunice è l’assistente e sicuramente per noi dentisti europei “schizzati” lei è forse un po’ lenta, un po’ troppo “africana”. Ma a parte il fatto che è una brava ragazza, voglio a questo proposito ricordare i tempi in cui non c’era proprio nessuno ad aiutarci, quando ci portavamo le assistenti dall’Italia, ma soprattutto i tempi in cui nello studio non c’era una persona di riferimento. Dentisti e assistenti si avvicendavano, ognuno faceva a modo suo, ognuno portava il suo materiale, i suoi strumenti, rivoluzionava l’impostazione e l’organizzazione dello studio secondo quanto gli sembrava meglio. Nel progetto di ristrutturazione elaborato assieme al dott. Farnese e al nostro Presidente a suo tempo, a parte le indicazioni per i lavori da eseguire, le attrezzature da comprare e tutte le cose tecniche, vi erano indicati proprio i due punti di cui vi ho appena parlato e cioè 1) la necessità da parte dei dentisti di standardizzare materiali e metodi e di avere una linea di lavoro il più possibile comune e 2) la necessità della presenza di una assistente fissa in grado di indicare ai dentisti che si avvicendano quella linea di lavoro almeno per quanto riguarda la raccolta, il trattamento e la sistemazione dei ferri e del materiale, in grado di provvedere alla manutenzione di aspiratori e strumentazione rotante, di costituire cioè una costante in una situazione di ampia variabilità come è quella di più professionisti che si avvicendano nella stessa struttura. Questa esigenza è stata sorprendentemente e velocemente superata dalla realtà. Non solo è arrivata l’assistente, ma anche l’odontoiatra fissa e oggi Mercy e Eunice costituiscono per lo studio dentistico una gran bella realtà!
Qualcuno a questo punto potrebbe domandarsi: ma a cosa servono i volontari se il servizio è coperto così bene? A parte il fatto che Mercy è una donna e che le donne possono andare in maternità, cosa che è puntualmente successa e per la quale si è organizzata la cordata sostitutiva di dentisti partita ad ottobre e che terminerà a febbraio (a questo punto ricordo che il mese di gennaio è totalmente scoperto), a parte questo non sto a farvi grandi discorsi: vi faccio semplicemente due conti. Mediamente i pazienti che si presentano all’ospedale di Chaaria per cure dentarie sono una ventina al giorno. Come abbiamo detto non tutte sono estrazioni, quindi ad alcuni pazienti si deve dedicare un’ora, un’ora e mezza. Per giunta anche se si lavora su due poltrone come dicevo prima e cioè facendo una cura canalare su una e estrazioni sull’altra, non tutte le estrazioni sono prestazioni veloci, dovendo a volte fare dei lembi con osteotomia e sutura. Va da sé che in una giornata di lavoro a venti pazienti si fa una sola prestazione, quella per la quale si sono presentati, non c’è il tempo per fare altro. Ma se si guarda bene dentro a quelle bocche, altrettanto mediamente si può dire che ognuno di quelli che si presentano avrebbero bisogno di altre quattro o cinque prestazioni a testa. Quindi venti per almeno quattro, uguale ottanta. Ottanta prestazioni al giorno! Se un dentista ne fa venti, sono quattro dentisti. Anche ammesso che vi siano sempre due dentisti presenti (Mercy più un volontario) essi non soddisferebbero che la metà del reale fabbisogno. Lavorare in due a Chaaria poi è molto proficuo: me ne sono accorto in quei momenti in cui fr. Beppe aveva un buco e veniva a darmi una mano ad estrarre. Avevo allora la possibilità di finire senza affanno la canalare, ricostruire il dente e ridare il sorriso a qualcuno. Il progetto, come vi ho detto, non prevedeva la presenza di Mercy. La continuità, e per continuità intendo il fatto che ogni professionista che arriva a Chaaria non butti all’aria tutto quello che è stato fatto prima, la continuità però era prevista, almeno quella tra gli odontoiatri volontari. E questa abbiamo cominciato a realizzare proprio in questi mesi. In passato tutto quello che ogni odontoiatra realizzava in quello studio, piano piano “evaporava”, man mano che arrivavano altri odontoiatri, altri modi di pensare e di lavorare, così quello che ognuno realizzava veniva, senza colpa di nessuno, vanificato dal successivo, perché questo era il sistema. Quello che abbiamo cercato di fare è costruire una parte del muro, ogni dentista dovrà aggiungere il suo mattone. La dottoressa Montalto che è arrivata dopo di me, dopo l’impostazione dei cassetti da me fatta, ha curato la realizzazione del codice colore, cioè la assegnazione ad ogni ferro di un ring colorato in silicone dello stesso colore del cassetto al quale il ferro è assegnato: questo sistema velocizza il riordino dopo la sterilizzazione e il reperimento da parte dell’operatore. Il dottor Farnese ai primi di dicembre porterà giù i pali delle lampade in modo che così avremo finalmente una luce migliore sul campo operatorio e i bracci porta vassoi per i ferri sporchi. Come vedete è un progetto che continua, è un progetto che lentamente si completa con l’apporto di tutti.
In conclusione, l’odontoiatria di Chaaria oggi è viva più che mai, è viva perché c’è l’utenza e come dice il dott. Ezio Bruna, noto protesista, la cosa più importante per un dentista è avere i pazienti; è viva perché c’è una struttura finalmente valida, nata da un progetto creato appositamente per Chaaria e al quale manca solo un piccolo sforzo per essere completato; è viva perché, diversamente che da noi, dove è una specialità un po’ isolata dal contesto puramente medico, a Chaaria l’odontoiatria è perfettamente inserita nei percorsi diagnostici dei pazienti dell’ospedale (basta ricordare per esempio che l’intercettazione dei pazienti affetti da masse del distretto facciale, uno per tutti: il linfoma di Burkitt, così frequenti in Africa, avviene proprio sulle nostre poltrone), è viva perché c’è Mercy, Eunice, ci sono i volontari, c’è fr. Beppe che ci dà una mano a coordinare il tutto, c’è fr. Giancarlo che ci dà sostegno tecnico quando si è in panne con la strumentazione, è viva perché c'è l’Associazione che ci sostiene, è viva perché ci siete voi e perché tutti insieme ci crediamo. Infatti è vivo il volontariato tutto! Scorrendo il blog a ritroso alla ricerca di foto per questa relazione, mi sono accorto di quanta gente va a Chaaria! Vecchi e nuovi, recidivi e non. Se poi pensate alle loro famiglie ai loro amici, agli ambienti di lavoro che coinvolgono, il numero di persone che in qualche modo gravita intorno a questa realtà è grande! Mai come quest'anno poi mi è capitato infatti di trovare altri pazzi come me che ci credono veramente! Che si chiamino Antonio, Stefania, Andrea, Manuela Giancarlo... non ha importanza: tutta questa gente è un nucleo che dà speranza, che è forza calda, trainante anche per le istituzioni e i loro appartenenti che, come sappiamo, sono sempre più tiepidi e più lenti. Il Papa l’altra domenica ha detto che è necessario cambiare gli stili di vita come ricetta per rendere meno massificante la globalizzazione. Noi non possiamo cambiare gli stili di vita dei nostri politici e amministratori. In questa società senza più valori, non abbiamo potere decisionale per assegnare più energie alla scuola e alla famiglia che sono il luogo di formazione dei valori. L’unica cosa che possiamo fare è cambiare il nostro stile di vita, goccia a goccia, un passo dopo l’altro, tutti giorni qualcosa, avere più grinta e non mollare.
Capitolo ringraziamenti: doveroso, mi sembra, ringraziare l’Associazione per il sostegno che ci ha dato e che ci dà, il nostro Presidente che si sbatte e che sopporta i nostri continui aggiustamenti e il dott. Farnese che ogni tanto mi scuote dal mio torpore con un qualche nuova avventura… E poi lasciatemi ringraziare in particolar modo una persona speciale con la quale, durante questa esperienza, si è creato un particolare “feeling”. Ci si ritrovava al mattino insonnoliti per aver passato parte della notte, lui sul trespolo dell’anestesista in sala operatoria, io attardandomi nello studio a sistemare questo o quello e poi continuando a non dormire pensando a come organizzare il lavoro. Tutto questo nostro attivismo a volte convulso, le giornate piene in cui spesso se devi dire qualcosa a qualcuno o non lo trovi o non è il momento giusto, ognuno nel suo buco, ognuno con i suoi pazienti, spesso non ci si ritrova neanche ai pasti perché con l’attività della sala operatoria anche i pasti saltano, per giunta la decisione dei fratelli di mangiare da soli, per quanto io la condivida perché sono una famiglia anche loro e necessitano sicuramente di trovarsi attorno ad un tavolo senza ospiti, comunque questa cosa a livello squisitamente relazionale crea qualche problema in più, tutto questo turbinìo dicevo, alla fine trovava poi comunque un suo equilibrio, una sua pace quando ci ritrovavamo insieme per qualche momento di riflessione. Riflessione che ci aiutava a ridimensionare noi stessi caso mai ci fossimo sentiti dei grandi uomini e al tempo stesso ci dava forza per una nuova giornata. Il confine tra il dono disinteressato e la ricerca di gratificazione personale, per il volontario, è molto sottile e sapere se si è di qua o di là con i soli ragionamenti umani non è facile! E’ un aiuto che lui ed io abbiamo sperimentato insieme e che mi sembrava importante condividere con tutti voi, certo come sono che anche lui è d’accordo: grazie Antonio!
uesto è il nostro contributoQ Sempre Antonio mi ha aiutato ad apprezzare questa fioritura che io non avevo mai visto perché per me questa era la prima volta in Kenia in ottobre ed è stata una bella scoperta. Mi piace pensare che questo albero sia come l’ospedale di Chaaria: delicato e possente al tempo stesso, in una parola bellissimo!
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