giovedì 2 dicembre 2010

Anche Josephine in paradiso

E’ volata via questa notte, all’eta’ di 12 anni.
I volontari certamente la ricorderanno: paralizzata dalla vita in giu’ a causa forse della polio; piena di piaghe da decubito che comunque stavano migliorando; un catetere a permanenza che ci ha sempre dato dei grattacapi in quanto l’urina usciva attorno via, invece che dal catetere stesso.
Di lei certamente ricordiamo l’ottimismo e la gioia di vivere: la pensiamo nel suo letto, sotto l’archetto che preveniva il contatto delle coperte con le sue ulcere; oppure la ricordiamo nella sua carrozzina, intenta a salutare tutti, sfoggiando il suo povero inglese o il suo CIAO italiano.
Soprattutto ci commuove ricordare quando alla sera cantava spensierata nel suo letto di malattia e dolore.
Da un paio di settimane pero’ non era piu’ la stessa: aveva sempre febbre. E’ stata in terapia con il chinino perche’ la malaria era positiva, ma non e’ mai realmente migliorata. Continuava a vomitare tutto ed a non mangiare. L’abbiamo anche trattata per infezione delle vie urinarie, ma lei stava sempre male. Urlava spesso di mal di pancia anche se l’eco era negativa.
Ieri la sua emoglobina e’ scesa a 1.8 g/dl. L’abbiamo trasfusa, ma non siamo riusciti a salvarla. Josephine ci ha lasciati di notte mentre ancora la trasfusione scendeva nelle sue vene.
Ringraziamo di cuore il Prof Alessandro Corsini e la sua famiglia, per aver assistito economicamente Josephine fino alla morte.
Pensando a lei mi viene in mente una vecchia citazione, anche se non mi ricordo l’autore: “se mi ami non piagere...”... ma e’ difficile non farlo!

Fr Beppe


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Una preghiera per te, Josephine.
Porto sempre nel cuore il tuo sorriso.

Elvira ha detto...

Non esiste separazione definitiva finchè esiste il ricordo.Benvenuto Spirito di Josphine.


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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