giovedì 2 dicembre 2010

L'ingegnosa sputacchiera di Mariella

Finora nella “dentist room” non avevamo ancora risolto il problema di dove far sputare i pazienti.
Quasi sempre dicevamo loro di deglutire la saliva, ma questo era un problema soprattutto dopo l’anestesia locale.
Infatti molti clienti temono che il farmaco dal sapore amaro sia in effetti velenoso, e non possa essere trangugiato senza pericoli per la salute. Si lavora quindi spesso con utenti che hanno la bocca piena di saliva o che continuano ad interromperti cercando di sputare in un fazzoletto (a volte anche sulle tue scarpe!).
Il problema si ripete anche dopo l’estrazione: il paziente vuole sputare il sangue (anche su questo punto ha problemi psicologici a deglutire).
A volte lo fa sul fazzoletto, a volte direttamente sul pavimento, ed altre volte dirigendosi direttamente al lavandino senza chiederne il permesso.
Lo sputare nel lavandino in se’ comportava altri problemi di ordine infettivologico, perche’ in esso sono depositati i contenitori dei disinfettanti in cui i ferri vengono immersi prima della lavatura e della sterilizzazione.
La geniale idea di Mariella e’ stata quella di adattare un grosso imbuto metallico recuperato dalla nostra cucina, all’aspiratore della poltrona.
In tal modo si ottiene un’ottima sputacchiera che il paziente puo’ tenere in mano durante la cura, e che aspira via i materiali in essa riversati.
L’imbuto puo’ essere quindi velocemente disinfettato tra un paziente e l’altro, tramite immersione in una soluzione di cidex.
La necessita’ aguzza l’ingegno... e di cuore ringraziamo Mariella per averci aiutato in questo nuovo passo avanti nel miglioramento del gabinetto odontoiatrico.

Fr Beppe Gaido



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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