mercoledì 15 dicembre 2010

Perla nera... Poesia scritta da Nadia


Mi siedo sul greto del lago e osservo l’acqua che scorre. I miei pensieri veloci seguono le correnti che, incessanti e fugaci portano lontano, oltre il filo spinato del tempo e dei ricordi. Non è colpa dell’acqua se pian piano si infiltra nella roccia e la spacca. L’ombra di un baobab mi protegge, mentre un volo di fenicotteri risveglia in me questa voglia di fuggire per salvarmi.
Le acque del lago si tingono di rosa e si accende il contrasto con il blu del cielo, che nasconde le stelle, che pur se presenti, nessuno potrà vedere fino a notte.
Le mie dita raccolgono terra rossa che stringo chiudendo il pugno, mentre piedi scalzi sconosciuti, si avvicinano per regalarmi un sorriso che si confonde con la bellezza del lago.
In un solo istante quella perla nera raccolta precocemente, mostra l’immensità dell’amore e riesce ad accendere tutte le stelle nascoste; mentre un flebile vento caldo accarezza i nostri corpi, tutto intorno si ferma, persino i fenicotteri smettono di volare e tornano a posarsi sulle acque del lago.
Chiudo gli occhi e odo il pianto stridulo di bimbi e il suono di un tonfo sordo: è l’impatto di un corpicino, con la nuda terra uguale a quella che stò stringendo tra le dita.
Apro il pugno, la terra rossa cade disperdendosi come polvere cosmica, residua dalla coda di una cometa che nella notte di Natale, non ha mai dimenticato di sovrastare la sua Africa.
E l’Africa, non tradirà mai quella terra rossa, né tutte le perle nere che essa contiene.

Nadia Monari





1 commento:

Anonimo ha detto...

Carissima Nadia, la poesia è stupenda. Quesl tonfo che tu descrivi mi ha fatto riprovare tanti tonfi al cuore, provati anche oggi quando una perlina nera di 6 mesi se ne è andata ancor prima di darmi il tempo di arrivare al suo capezzale.
Terra rossa come il sangue, come il dolore, come l'amore.
Fenicotteri rosa che ci ricordano che le perle nere, anche quando cadono a terra, poi sanno volare.
Grazie. Un abbraccio Beppe


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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