venerdì 4 marzo 2011

In palmo di mano

Visito una signora anziana accompagnata dalla nipote, persone povere di un villaggio vicino a Chaaria. Quando consegno il foglio della prescrizione alla più giovane, seduta davanti a me, lei alza lentamente le mani, affiancate, con i palmi rivolti verso l’alto, come se dovessero trattenere delicatamente dell’acqua appena raccolta. Per un attimo ferma le mani all’altezza del suo volto, poi le allunga verso di me per porgermi quello che sorreggono. Non sorride con le labbra, il sorriso è tutto negli occhi. 
Alzandomi per ringraziare prendo dalle sue mani aperte un sacchetto di carta stropicciata inzuppata di liquido appiccicoso. Apro il sacchetto e vedo sei piccole uova di gallina, un paio delle quali si sono rotte lungo la strada. Per queste persone sei uova costituiscono una parte consistente del lavoro e del guadagno giornaliero.
Non ricordo che qualcuno mi abbia mai offerto un dono con una gestualità così fortemente simbolica. E penso di non essere mai stato capace di porgere un omaggio con tanta grazia ed umiltà. In effetti, non mi sono mai privato di un bene altrettanto prezioso per me.
Antonio



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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