sabato 28 aprile 2012

Il kiswahili ed i suoi segreti


Amo moltissimo il Kiswahili, che trovo una lingua melodica e dolce. Con lo staff, sia in sala che in reparto, preferiamo il Kiswahili all’Inglese.
E’ una lingua che in qualche modo costituisce una finestra sulla cultura Bantu in cui e’ originata.
E’ bello che in Kiswahili non esista per esempio il verbo avere. Per tradurlo bisogna dire “essere con”: io trovo questo fatto molto significativo. E’ una cultura in cui, almeno originariamente, non si dava molta importanza al possesso: non si “hanno” le cose, ma si “e’ con” le cose. Questo e’ profondissimo, secondo me, e purtroppo sta scomparendo anche in Africa!
Il Kiswahili tradisce poi anche alcune componenti maschiliste della cultura bantu: per esempio, l’uomo sposa una donna (il verbo da usare e’ attivo), mentre una donna e’ sposata dal marito (verbo al passivo).
Il Kiswahili e’ anche una lingua antica che ha radici in forme di vita arcaiche. Per esempio, siccome in passato non c’erano orologi, la prima ora del giorno corrisponde alle sette del mattino, le cinque swahili sono le undici italiane, e lo stesso vale per la notte. La cultura swahili ha quindi dodici ore di luce e dodici ore di buio, proprio come la natura ha stabilito, con alba e tramonto esattamente distanziati da dodici ore, per tutto l’anno. E tutt’ora vige questa specie di fuso orario (di sei ore) rispetto all’orario occidentale.
Il Kiswahili e’ originato sulla costa dell’Africa Orientale, in tempi in cui questa era sotto colonizzazione araba. Molte sono le parole kiswahili con radici chiaramente arabe: per esempio chiesa o finestra si dicono allo stesso modo nelle due lingue; salaam e’ usato in entrambe le lingue, ecc.
Il Kiswahili rivela anche le sue origini in ambiente islamico: se pensiamo ai giorni della settimana per esempio, il centro e’ il venerdi’ che chiamiamo “ijumaa”, parola che puo’ significare anche settimana stessa. Poi sabato sara’ chiamato “settimana piu’ uno”, domenica sara’ “settimana piu’ due”, lunedi’ sara’ definito “settimana piu’ tre”, e cosi’ via.
Il Kiswahili esprime linguisticamente anche il culturale rispetto per gli anziani e l’alta considerazione per la famiglia allargata. Quando vogliono darti un titolo di rispetto, magari quello che in Italiano potrebbe essere “signore” ed in Inglese “sir”, loro ti chiamano “mzee”, che letteralmente significa anziano o vecchio. Ma, mentre per un occidentale essere chiamato “vecchio” puo’ essere offensivo, per uno Swahili definirti in tal modo e’ un grande segno di rispetto: vuol dire riconoscerti saggio e pieno di esperienza. Se incontri una persona piu’ anziana di te, in Kiswahili lo devi salutare dicendo “shikamoo” (che significa “ti abbraccio le ginocchia).
I tuoi coetanei li chiami dada o kaka, sorelle o fratelli e i più anziani mama o baba. Usi baba o mama anche per chi non e’ sposato e non ha figli. Loro apprezzeranno sempre questa definizione che e’ quasi un augurio a realizzare la maternita’ e la paternita’, tanto importanti nella cultura africana. Anche i bambini li chiamerai baba o mama, ed i loro genitori accoglieranno queste tue parole come dei vezzeggiativi.
La maternita’ e la paternita’ sono cosi’ importanti per uno Swahili che preferira’ farsi chiamare mamma o papa’ del primogenito, piuttosto che con il nome di battesimo: cosi’ tra il nostro staff abbiamo “mama Sharon” e “baba Kawira”.
Il fatto di essere una lingua antica fa si’ che tante definizioni moderne siano inesistenti, e si debba ricorrere a giri di parole: per esempio il registratore lo chiami “attrezzo per catturare i suoni”, la mail la definisci “lettera nel vento”, il treno lo indichi come “carro col fumo”, il biroccio diventa il “carro con la mucca” e l’aereo lo definisci “uccello”.
I giovani purtroppo – almeno in Kenya… ma credo anche in Tanzania – non hanno piu’ voglia di questi giri di parole e stanno coniando una nuova lingua, una specie di “imbastardimento” di Kiswahili, Inglese e neologismi fusi insieme (lo chiamano “Sheng”): quindi treno diventa “treni”, il computer diventa “computa”, e poi baisikeli (bicicletta), elektrisiti (elettricita’), Februari (febbraio). Ma ci sono cosi’ tanti neologismi giovanili che spesso pure gli anziani nati in Kenya – e non solo io – non riescono piu’ a capirli.
Ringrazio Matilde, volontaria in Tanzania, che con la sua mail mi ha stimolato a scrivere questo post.
Ed infine vorrei lanciare un messaggio a coloro che si stanno preparando per venire a Chaaria come volontari”: sapere qualche parole di Kiswahili, come potete trovare nel dizionarietto del blog, puo’ essere decisamente utile per comunicare in modo semplice con i malati e con lo staff, e per farvi sentire come uno di loro. 
Vedrete ampi sorrisi sulla loro bocca quando li saluterete in Kiswahili… provateci!
Fr Beppe Gaido

1 commento:

Gianluigi Martini ha detto...

Buongiorno,
Grazie per la bella apologia del kiswahili.

Kwa heri ya kuonana,

Gianluigi Martini


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


Guarda il video....