lunedì 10 dicembre 2012

Il 2012: l'anno più felice

Sarà difficile convincere chi ha appena pagato l’Imu, chi passerà il Natale in cassa integrazione o chi è sopravvissuto a stento alle amare medicine del governo Monti. Certamente greci e spagnoli non lo crederanno mai. 
Ma il 2012 è stato l’anno più felice nella storia dell’umanità. L’anno con meno fame, meno guerre, meno malattie e maggiore prosperità. 
Lo sostiene, citando dati attendibili e statistiche della World Bank, «The Spectator», un settimanale britannico tra i più raffinati ed esclusivi. 
Ovviamente tutto dipende da quale punto si guarda la scena: se osservato dal mondo occidentale, il 2012 sarà ricordato come l’anno che ha visto svanire gran parte della ricchezza, ha ridotto i posti di lavoro e costretto molte famiglie a pesanti rinunce. Ma oltre agli Stati Uniti e all’Unione Europea esistono sulla Terra altre centinaia di Paesi dove le cose non sono andate così male. 
Se un osservatore neutrale esaminasse il pianeta con la freddezza di uno scienziato, arriverebbe anzi alla conclusione che l’umanità non è mai stata meglio. 
A sostegno della sua tesi, «The Spectator» cita i dati sulla povertà globale: nel 1990 le Nazioni Unite avevano annunciato gli obiettivi di sviluppo del millennio, al primo posto dei quali c’era la riduzione a metà entro il 2015 del numero di persone che vivono in povertà. Questo risultato, ha rivelato quest’anno la Banca Mondiale, è stato raggiunto già nel 2008 e la situazione continua a migliorare: «Acquistare scadenti giocattoli di plastica fatti in Cina – nota il settimanale – sta cambiando la storia della povertà». 
Anche la diseguaglianza tra Paesi ricchi e Paesi poveri si sta riducendo, secondo il National Bureau of Economic Research dell’università americana di Cambridge, e non è mai stata così bassa nei tempi moderni. 
In tutto il mondo, grazie ai progressi della medicina e della tecnologia, la gente vive più a lungo. Quest’anno, l’aspettativa di vita in Africa ha raggiunto i 55 anni, rovesciando una tendenza che sembrava inarrestabile a causa del diffondersi dell’Aids. 
Le vittime della malaria sono diminuite di un quinto negli ultimi cinque anni e molte malattie endemiche non colpiscono più con la virulenza di un tempo. 
Anche la guerra nel 2012 si è concessa una tregua. Le statistiche del Peace Research Institute di Oslo rivelano che ci sono stati meno morti nell’ultimo decennio – nonostante i conflitti in Iraq e in Afghanistan – che in qualunque altro analogo periodo del secolo precedente e dunque, in termini relativi, l’umanità deve considerarsi in pace. 
Secondo lo «Spectator» pure nel mondo occidentale ci sono ottime ragioni per non lamentarsi troppo. In Gran Bretagna, ad esempio, i costi salgono, i guadagni diminuiscono e l’economia è in recessione, ma il capitale sociale e culturale non è mai stato così alto grazie anche alle Olimpiadi e al Giubileo della Regina. 
Per un po’ di tempo non si potrà cambiare la vecchia auto con una nuova o andare ad abitare in una casa più grande, ma nel campo delle cose che contano davvero tutto va meglio: le vittime per i tumori al seno o ai polmoni sono diminuite del 30% in 40 anni e l’aspettativa di vita, che era di 78 anni un decennio fa, raggiungerà gli 81 nel 2013. 
Il settimanale, che ha avuto tra i suoi direttori Boris Johnson, l’attuale sindaco di Londra, è abituato alle provocazioni e invita dunque i lettori a non dare retta ai politici che dipingono un mondo crudele nel quale tutto va male e andrà peggio. In fondo, illustrare una situazione nel peggiore dei modi per offrire soluzioni agli elettori è il loro mestiere. 
Per fortuna, i grandi passi avanti dell’umanità non dipendono dagli uomini di Stato, ma dalla gente comune che continua a lavorare per la pace, il progresso e la prosperità. Le paure che abbiamo oggi non sono molto diverse da quelle di cinquant’anni fa, quando dopo la crisi dei missili a Cuba le coppie si domandavano se avesse un senso avere dei figli quando una guerra nucleare poteva scoppiare da un momento all’altro e il futuro appariva così incerto.
Ma da allora, tra alti e bassi, il progresso dell’umanità non si è mai arrestato: se venerdì arriverà davvero la fine del mondo, il mondo l’aspetterà nella sua forma migliore. 

Sergio Bellonio (compagno di liceo ed amico di Fr Beppe) 


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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