sabato 9 marzo 2013

Qualche pensiero a ruota libera


E’passato più di un mese dal mio ritorno da Chaaria e con fatica sono riuscito a dipanare quasi tutti i pensieri e le considerazioni che mi sono portato a casa. Al di là della stanchezza, del grande lavoro, sono stato colpito da due aspetti: il più facile da intuire è che, in una situazione lavorativa così intensa a volte convulsa, è difficile per i volontari, soprattutto se alla prima esperienza, entrare in sintonia: ci vuole tempo, umiltà, professionalità. Ma anche i “vecchi” volontari ogni anno faticano perché trovano situazioni diverse a cui adattarsi. 




 

Il secondo aspetto è più complesso da definire. In un raro momento di tranquillità, nello studio di Fr. Beppe parlavamo della crescita strutturale e tecnologica dell’ospedale: la nuova sala operatoria, che sostituisce ma non abolisce l’attuale, la nuova costruenda maternity che, spostandosi, libererà spazi nei quali convogliare altre attività; parlavamo del fatto che, talvolta, la presenza di volontari qualificati, che offrono prestazioni particolari e non usuali, non è uno sgravio ma anzi un aggravio di lavoro e di costi. Ma in fondo riflettevo che la grande forza e contemporaneamente la grande debolezza di Chaaria è che grava sostanzialmente sulle pur robuste spalle di Beppe. La risposta di Beppe, se ho ben capito, è che lo sa benissimo, vede i rischi di questa situazione ma, non potendo fare diversamente, andrà avanti così, senza porsi obiettivi a lunghissimo termine; tutto sommato una risposta Cottolenghina: ci penserà la Provvidenza.
A me, più laicamente, basta che, anno dopo anno, le persone vengano curate sempre meglio perché la salute è un diritto ed insieme all’istruzione una delle più alte forme di civiltà.
Vedere le radiografie di persone che hanno rischiato di rimanere storpi dopo fratture spaventose ed ora sono risanate è una gioia continua, come pure come tutte le altre situazioni dove Chaaria ha fatto la differenza e sono tantissime.
Ritorna la favola del bambino e delle stelle di mare, torna il sogno di Beppe, la frase sulle gocce d’acqua che compongono il mare, la speranza di un progresso costante ed armonico.
Bisogna crederci. 
Max Albano

 

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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