venerdì 18 aprile 2014

Scappato per due volte

Ernest era stato ricoverato nel nostro ospedale circa un mese fa, dopo aver ingerito una pesante dose di anticriptogamici a scopo anticonservativo.
Lo avevamo accolto in stato comatoso e rantolante, ma avevamo messo in atto tutti i presidi a nostra disposizione per salvargli la vita: gli avevamo fatto immediatamente la lavanda gastrica, estraendo quantità industriali di veleno; avevamo usato l’atropina come antidoto, il carbone attivato come chelante (legante) dell’agente tossico non ancora assorbito, lo zantac endovena per la protezione gastrica, l’infusione di liquidi ed il lasix per proteggergli i reni.
Considerando le sue condizioni generali al momento del ricovero, non avevamo molte speranze di salvargli la vita... ed invece, dall’indomani mattina Ernest era ridiventato cosciente, migliorando poi a vista d’occhio ora dopo ora.



Eravamo davvero soddisfatti del successo terapeutico, ma eravamo poi stati sconvolti dal fatto che in terza giornata di ricovero, Ernest aveva deviso di saltare il cancello dell’ospedale e di darsi alla macchia. Non lo avevamo più trovato, nè con l’aiuto della polizia, nè contattando i familiari (probabilmente conniventi).
L’ho rivisto circa una settimana fa, senza però riconoscerlo.
Era nuovamente in condizioni critiche, stavolta dopo un incidente stradale in cui era stato investito da un trattore: la gigantesca ruota posteriore del mezzo agricolo gli era passata sul piede sinistro, strappandogli la carne e lasciandogli tre dita scarificate e con l’osso esposto.
Non riesco neanche ad immaginare il male che deve aver provato in quel momento e nelle ore seguenti. Il commento di Makena è stato molto carino, in quanto mi ha detto: “deve essere un male così intenso da farti fare la pipì addosso!”
Ignaro della sua identità e di quello che in passato ci aveva fatto, ho programmato l’intervento urgente, in quanto, da una parte bisognava fermare l’emorragia, e dall’altra le ossa esposte lo esponevano al rischio di osteomielite.
Purtroppo non abbiamo avuto altra scelta che amputare il primo e secondo dito del piede, riparando poi la cute.
Tutto sommato ci è sembrato di aver fatto un buon lavoro, e gli abbiamo detto che avrebbe camminato nuovamente, pur non negandogli qualche difficoltà legata all’assenza dell’alluce.
Le medicazioni nel post-operatorio sono sempre state incoraggianti: non c’è mai stato pus e la pelle non dava segni di necrosi. Il paziente era naturalmente sotto antibiotici ad ampio spettro, ed aveva una buona copertura analgesica.
Ogni giorno ci raccomandavamo di camminare sempre con le stampelle e per un po’ di tempo di non mettere il piede a terra, al fine di prevenire nuove infezioni.
Poi stanotte è succeso di nuov!;
Lo abbiamo saputo stamattina alle 7.30, quando lo staff della notte ci ha dato i particolari della fuga, attuata nuovamente scavalcando il cancello dell’ospedale.
Stavolta Ernest è fuggito il venerdì santo.
Giancarlo, che è più fisionomista di me, lo aveva invece ricevuto ed è come se si aspettasse quanto successo ieri notte: la cosa che mi fa più male, a parte la sua disonestà incallita,è il fatto che ora camminerà nel fango e certamente infetterà la ferita.
E’ vero che anche dopo l’altra sparizione Ernest ha interrotto la terapia e comunque è sopravvissuto, apparentemente senza problemi; ma stavolta la situazione potrebbe essere molto più grave, perchè, se va in necrosi la cute dell’area operata e si espongono nuovamente i monconi ossei, egli corre il rischio di perdere buona parte della gamba.


Fr Beppe Gaido


1 commento:

Anonimo ha detto...

Molto triste questa storia! Speriamo per lui! Un abbraccio di serena Pasqua, che il Signore ci doni tanta Pace come solo lui sa dare!
Coraggio...le gocce nell'oceano possono moltiplicarsi!! *__*
patrizia (maidoc@libero.it)


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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