venerdì 13 giugno 2014

Le complicazioni sono sempre alle porte

Marta era stata operata di cesareo qui da noi una decina di giorni orsono.
L’avevamo dimessa in quinta giornata post-operatoria e le avevamo consigliato di andare in un ospedale vicino a casa per l’ultima medicazione e per la rimozione dei punti.
E’ una cosa che facciamo quasi sempre, ed in genere va tutto bene.
Lei invece ci è stata riportata oggi in ambulanza, con la ferita operatoria settica e con un addome disteso e durissimo che certamente ricordava una peritonite.
I globuli bianchi erano molto elevati; la paziente afebbrile e completamente madida di un sudore freddo, con una pressione massima appena al di sopra dei 70 mm/Hg.
L’ecografia addominale dimostrava due grosse aree cistiche sia in corrispondenza dell’ipocondrio destro che del sinistro. Una puntura esplorativa ecoguidata ha dimostrato che si trattava di materiale essudatizio e dall’odore tipicamente settico. Non si vedeva fluido libero in cavità addominale, ma le anse apparivano come appiccicate in una fitta matassa.



Non abbiamo ritenuto opportuno aspettare oltre ed abbiamo deciso per la laparotomia d’urgenza. Era nostra opinione che non avremmo aiutato la nostra malata con un approccio medico ed attendista.
All’apertura del peritoneo abbiamo notato che c’era una notevole quantità di pus in cavità addominale; le aree viste in eco corrispondevao a zone in cui l’essudato peritoneale era stato in qualche modo racchiuso e contenuto dall’omento. Le anse intestinali erano tutte conglomerate ed avvolte da uno spesso strato di fibrina ormai difficile da asportare.
L’utero era ancora notevolmente ingrandito ed era adeso alla matassa intestinale ed al peritoneo parietale. Ho sbrigliato le tube, pensando di vederne uscire una notevole quantità di pus. Invece dalle tube non usciva materiale purulento.
Poi però ho visto il problema: una deiscenza della sutura sull’utero. In pratica la breccia da cui avevo fatto uscire il bambino si era aperta e le pareti della ferita erano necrotiche e brutte. In utero invece non c’era pus nè ho trovato prodotti di concepimento ritenuti.  Ho quindi recentato la ferita e risuturato l’organo.
L’altra fase dell’intervento è stata il lavaggio della cavità addominale con fisiologica tiepida e la lisi di tutte le aderenze.
Adesso Marta è stabile. E’ ricoverata con una parente che da quasi subito ha ricominciato ad attaccarle il bambino al seno. Da circa un’ora è sveglia ed è in grado di sostenere il suo figlioletto da sola durante l’allattamento.
E’ la prima volta che mi capita una deiscenza della sutura sull’utero al cesareo!
Ne sono sorpreso ed un po’ triste.
Sono però soddisfatto perchè sono stato in grado di prendere rapidamente la decisione di operare la paziente: infatti non sarebbe mai guarita con terapia antibiotica solamente, ed un ritardo decisionale avrebbe potuto essere letale per lei.
La riflessione che mi porto dentro oggi è che le complicazioni sono sempre alle porte sia in medicina che in chirurgia.
C’è chi dice che il cesareo sia un intervento da poco, ma io dico sempre che il cesareo è un intervento facile solo quando tutto va bene, ma che può essere gravato da una infinità di complicanze e da pericoli anche gravissimi per la vita stessa della paziente.
Nel caso di Marta, ora sotto copertura antibiotica endocenosa con Rocefin e Flagyl, ci auguriamo di essere intervenuti in tempo per evitare il peggio.


Fr Beppe Gaido



1 commento:

Anonimo ha detto...

BRAVO BEPPE


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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