sabato 20 settembre 2014

L'ebola non c'è in Kenya


La recente epidemia di ebola in Africa Occidentale non ha precedenti e mostra caratteristiche certamente nuove rispetto aicasi conosciutiin passato.
Negli scorsi anni si erano registrate piccole epidemie di pochi villaggi vicini alle foreste (soprattutto in Congo ed in Uganda), ed in genere l’epidemia si spegneva da sola in poche settimane, pur causando una mortalità di qualsi il 100% della popolazione affetta.
Prima del marzo 2014 non si erano mai registrati casi di ebola in Africa Occidentale. Inoltre, questa volta stiamo assistendo ad una epidemia che continua in modo sostenuto dall’inizio di marzo 2014 (per il passato la durata media era di poche settimane) e che presenta non solo una trasmissione rurale ma anche urbana (la trasmissione urbana non si era mai verificata in passato).
Da segnalare poi che tale epidemia dimostra una virulenza ed una capacità di espansione che non ha precedenti. 
 
I primi casi segnalati erano in Guinea, ma in pochissimo tempo (grazie ai viaggi attraverso le frontiere) il virus si è diffuso come un incendio in Sierra Leone ed in Liberia. Al momento la Liberia è la Nazione più colpita in assoluto: si conta che dall’inizio dell’epidemia siano morte più di 2500 persone in Africa Occidentale, di cui più di 1000 sono morte in Liberia soltanto.
Ci sono stati anche alcuni casi a Lagos in Nigeria, e certamente c’è stato un caso in Senegal. Casi sporadici sono riportati nella Repubblica Democratica del Congo, dove per altro l’ebola è endemica da sempre e dove è difficile avere dati epidemiologici certi a causa della continua guerriglia.
Siamo di fronte ad una crisi umanitaria e sanitaria che non ha precedenti in Africa: Nazioni già impoverite da anni di guerra civile sono state ora completamente isolate dal resto del mondo per paura del contagio. Soprattutto in Liberia, Sierra Leone e Guinea le attività economiche sono state ridotte praticamente a zero; il sistema sanitario nazionale (già molto debole in partenza) è ora sull’orlo del collasso totale. A causa del carico di pazienti affetti dal virus, altre attività importanti come le vaccinazioni, la prevenzione della malaria, dell’HIV e della diarrea sono praticamente bloccate. Parecchi ospedali sono chiusi a motivo del fatto che il personale sanitario si rifiuta di lavorare per paura di ammalarsi: molti medici ed infermieri sono stati in effetti contagiati ed un buon numero è morto.
Siamo molto vicini a queste popolazioni e preghiamo che il virus possa essere presto contenuto, come già successo in passato, anche se le previsioni dell’OMS non ci danno molta speranza che questo accada nel vicinissimo futuro.
Vorrei trattenermi con voi a lungo sulla malattia, sulle sue caratteristiche, sulle vie di trasmissione, sulle ragioni anche culturali che hanno portato a questa rapida diffusione, sugli animali che possibilmente ne fanno da vettori, sulle possibilità terapeutiche e sulle speranze di un vaccino. Questo però lo potremmo fare in futuro se i lettori mi daranno dei feed back che un tale argomento possa interessare.
La ragione per cui scrivo è un’altra. Vorrei cioè rassicurare i lettori che al momento noi siamo relativamente al sicuro dall’ebola.
Prima di tutto desidero invitare gli aspiranti volontari che mi leggono a prendere una cartina dell’Africa ed a misurare con un righello la distanza chilometrica che separa la Liberia dall’Italia per poi compararla a quella tra la Liberia ed il Kenya... questo solo per dire che sono perfettamente d’accodo con OMS, Medicins sansFrontières ed il segretario generale dell’ONU Ban-Ki-Moon nel dire che siamo di fronte and una epidemia senza precedenti che ha in sè le potenzialità non solo di strangolare l’economia dell’Africa Occidentale ma anche di trasformarsi in una pandemia di dimensioni mondiali e addirittura di causare guerre ed instabilità civile; rimane comunque il fatto che l’Africa Orientale è fortunatamente al momento del tutto esente dall’ebola.
Ci sono stati dei casi sospetti anche in Kenya, ma i test eseguiti sono risultati sempre negativi.
Il fatto che l’epidemia continui da molti mesi ha dato al Kenya la possibilità di correre ai ripari e di prepararsi: a Marzo 2014 per esempio è iniziato un grande sforzo di formazione e di preparazione all’eventuale epidemia, per cui posso dire che, se mai dovesse capitare, in Kenya siamo preparati alla risposta al virus.Io stesso sono stato scelto tra un gruppo di medici competenti costantemente in contatto con il Ministero della Sanità riguardo all’evoluzione dell’epidemia di ebola: ricevo quasi quotidianamente informazioni riguardanti il virus e posso dire che per adesso non c’è ebola in Kenya nella maniera più assoluta.
I voli con le Nazioni più colpite sono stati sospesi ed i passeggeri con passaporto dei Paesi affetti dall’epidemia vengono visitati con attenzione in aeroporto, anche quando provengono da altre Nazioni. Lo screening avviene anche ai più importanti passaggi di frontiera via terra.
Certo, in Kenya siamo a rischio di Ebola... come lo si è anche in Italia:pensiamo a quei barconi di povera gente che approda a Lampedusa dopo aver rischiato la vita nel Mediterraneo, o pensiamo a coloro che la guardia costiera salva dopo un naufragio. Anch’essi sovente provengono da Paesi affetti da ebola e sono quindi potenzialmente nella fase di incubazione della malattia.
Il mio post vuole essere una semplice rassicurazione per i volontari che si preparano a venire in Kenya: quello che posso dire è che di ebola in Kenya al momento non ce n’è, e che, se malauguratamente dovesse arrivare, sia il Ministero della Sanità che l’ospedale di Chaaria sono assolutamente preparati alla risposta.
Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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