venerdì 20 febbraio 2015

La comunicazione personale

Carissimi medici e volontari, che vi preparare a venire a Chaaria, mentre vi ringrazio anticipatamente per aver deciso di spendere un periodo della vostra vita per lavorare con noi, oso chiedervi (se fosse possibile) che ci conoscessimo un po’ di piu’... prima del vostro arrivo, e non solo nell’istante in cui mettete piede a Chaaria.
Se infatti rimanete fino all’ultimo soltanto dei nomi, con associato un orario di arrivo a Nairobi, una compagnia di volo, ed un titolo professionale, puo’ risultare difficile ingranare velocemente con un lavoro efficiente e ricco di soddisfazioni, al vostro arrivo a Chaaria.
Vi faccio alcuni esempi:
Se io sono al corrente che arrivera’ uno specializzando in Medicina Interna, e con lui/lei non ho mai dialogato, a parte il normale lavorio di conoscenza reciproca che per noi si ripete ogni mese, io faro’ scattare in me anche l’opinione che il suo habitat naturale sara’ con i malati gravi del reparto di medicina. Non pensero’ infatti di offrirgli l’ambulatorio, troppo complesso sia per motivi linguistici che per ragioni culturali. 
E neppure mi passera’ per l’anticamera del cervello che lui/lei possa essere per esempio in grado di fare ecografie.
Magari questo puo’ creare in lui/lei delle frustrazioni: forse lui/lei vuol fare eco e vuol visitare i malati ambulatoriali! Io pero’ questo non lo posso sapere, se nessuno me lo dice: io guardo normalmente ai bisogni di Chaaria, e vedo che il reparto e’ l’ambito in cui il medico italiano puo’ fare di piu’ (oltre che essere il settore piu’ bisognoso).
Mi ci vogliono normalmente circa due settimane per cominciare ad avere il sentore che quel dottore ha delle problematiche e non si trova completamente a suo agio in quella situazione, e vorrebbe magari fare altro. 


I piu’ spontanei magari me lo dicono prima... chi e’ timido invece sta zitto e sta male per la maggior parte della sua esperienza.
Quando me ne rendo conto, se posso, provo ad aggiustare il tiro, ma quello che capita e’ che siamo ormai all’ultima settimana di esperienza, e si e’ sprecato molto tempo prima di inquadrare il problema.
Se invece so che il nuovo medico vuole fare piu’ diagnostica per immagini o piu’ ambulatorio, gli offriro’ un ecografo dal primo giorno (con gli ecografi mandati da Pietro, ora ce lo possiamo permettere!).
Se poi sono al corrente che e’ interessato piu’ all’AIDS o alla Tubercolosi, lo affidero’ al nostro Martin che si occupa di tali settori.
Lo stesso si applica ad un chirurgo generale.
Sapere che viene un chirurgo e’ sempre una bellissima notizia, ed e’ certo molto importante per me, ma sarebbe molto meglio per esempio se, tramite email, noi potessimo scambiarci delle domande ed esprimere delle aspettative.
Per esempio per me e’ vitale sapere se un chirurgo opera la prostata o meno... se per la prostatectomia esige i cateterini ureterali o meno... se posso organizzare per lui appuntamenti per tiroidectomia, ecc.
Se tali particolari io lo venissi a sapere alcuni mesi in precedenza, potrei organizzarmi per il materiale mancante e potrei preparare una buona lista di pazienti, massimizzando il “rendimento” del volontariato stesso.
Altro esempio potrebbe riguardare un ginecologo: sarebbe molto utile per me conoscere in precedenza se si occupa di mammella oppure no; se fa ecografie o meno, o d’altra parte se e’ un ecografista puro che non va in sala operatoria, ecc.
Credo che il mio problema lo abbiate compreso.
Si tratta di dare il massimo per i malati, ed anche di offrire ai volontari un tipo di lavoro che li soddisfi.
Grazie in anticipo.
Io rispondo sempre alle mail, anche solo con pochi monosillabi.
Chi non riceve risposta, sappia fin da ora che e’ perche’ non ho ricevuto, oppure la sua mail e’ andata a finire negli “spam” per uno dei misteri dell’informatica... e quindi insista e rimandi la mail, finche’ io rispondo.

PS: nella foto potete ammirare il nuovo carrello per la terapia di cui abbiamo dotato i nostri reparti

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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