Addormentare la paziente
è stata una bella impresa.
Da una parte il problema
era la comunicazione: ci trovavamo infatti di fronte ad una signora del Nord,
incapace di comprendere tutte le lingue a noi note.
Dall’altra poi, il grosso
tumore para-tiroideo creava anche una deviazione tale della trachea che
l’intubazione era risultata assolutamente difficoltosa.
Durante l’intervento
comunque l’anestesia generale non aveva creato alcun problema ed avevamo
operato in assoluta sicurezza.
I grattacapi sono
iniziate al momento del risveglio. Appena estubata la donna pareva respirare
abbastanza bene e sembrava destinata ad una ripresa di coscienza lenta ma senza
difficoltà.
Abbiamo quindi deciso che
un anestesista seguisse questa paziente in sala risveglio, mentre l’altro ci
avrebbe fatto il blocco anestetico per il seguente intervento di frattura
inveterata di omero.
Appena iniziata la
frattura avverto però grande agitazione in sala risveglio.
La paziente precedente
desatura e non riesce a mantenere una respirazione spontanea.
Io ho già esposto l’osso
ed ora non mi posso più fermare.
Cerco di concentrarmi su questo caso
complicato di frattura inveterata di omero con chiodo endomidollare rotto, ma
la fibrillazione che permea l’atmosfera in cui le ragazze dello staff corrono
qua e là, Mbabu dà ordini e richiede farmaci, i volontari italiani si agitano
nel dare sostegno a Fulvio, il nuovo anestesista volontario, non mi lascia la
mente tranquilla.
Lavoro sul campo
operatorio ma la mia testa va spesso nella camera a fianco: di tanto in tanto
mi giro e chiedo all’infermiera di sala: “ha ripreso la respirazione spontanea?”
Alla sua risposta: “non
ancora, è stata nuovamente intubata e la stanno ventilando, un macigno sempre
più pesante mi preme sul cuore. Vorrei andare di là con gli anestesisti, ma so
anche che sarei perfettamente inutile: inoltre nessuno potrebbe portare a
termine l’intervento della frattura.
Ma è dura lavorare così,
anche considerando il fatto che ieri abbiamo finito in sala alle 3 di notte e
siamo tutti stanchi ed emotivamente un tantino labili.
Finisco l’intervento
ortopedico in tempi abbastanza brevi e mi dirigo immediatamente in sala
risveglio, dove purtroppo la donna sveglia ancora non è, anche se ora sembra
muoversi un po’.
“Abbiamo fatto antidoti
di tutti i farmaci usati. L’anestesia è ormai finita. La donna risponde agli
stimoli dolorosi ed il tubo tracheale le dà un fastidio tremendo.
Quello che
non si capisce è perchè non riprenda la respirazione spontanea e desaturi
rapidamente non appena smetti la ventilazione con ambu ed ossigeno ad alte
dosi” mi dice Mbabu un po’ triste, e poi aggiunge “oggi è davvero una giornata
di...difficile!”
Il tempo passa. Si teme il
peggio anche se i riflessi pupillari sono buoni e non dovrebbe esserci danno
cerebrale.
Ad un certo punto
decidiamo di estubare e ci rendiamo conto che attaccato al tubo tracheale c’è
un enorme tappo di muco che probabilmente bloccava le vie aeree e causava la
grave ipossia. Infatti, rimosso il tappo mucoso, pian piano le condizioni
repiratorie sono migliorate e la saturazione è gradualmente risalita a livelli
normali.
Fulvio pensa che si sia
trattato di una iperattività vagale causata dal nostro smanettare sul nervo
stesso mentre toglievamo la cisti del collo: il vago avrebbe causato una
super-produzione di muco che probabilmente è stato la causa della grave
deficienza respiratoria.
In tutto sono passate
quattro ora dal momento in cui abbiamo richiuso la cute a quello in cui
finalmente abbiamo riportato in reparto la paziente in condizioni discrete:
sono state ore interminabili, di angoscia pura, anche se ora la donna è stabile
e sta recuperando bene.
Fr Beppe Gaido
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