martedì 28 ottobre 2008

E così sono arrivata...


... la strada e’ stata durissima, ma ora sono finalmente in cielo.

E pensare che ad aprile avevo solo una piccola pustola sul naso, e tutti pensavano che fosse una puntura di insetto. Poi, invece di migliorare, quella piccola escrescenza, ha cominciato ad ulcerarsi, a farsi sempre piu’ profonda ed estesa, fino a mangiarmi Charity.JPGprima il naso e poi tutto il volto. Avevo tanto male, e sapevo di puzzare terribilmente, anche se il mio senso dell’olfatto se ne era andato da tempo.
Ma poi il Paradiso e’ arrivato.
E’ successo oggi, al Kenyatta National Hospital, dove ero ricoverata da un po’ di tempo.
Ora la mia faccia e’ perfetta come prima. Sono di nuovo bellissima, come tutte le adolescenti della mia eta’, anzi lo sono ancora di piu’ perche’ ora sono un Angelo.
Non piu’ dolore, non piu’ ulcere che mi consumano il volto.
Desidero ringraziare tutti quelli che mi hanno aiutato, soprattutto Ezio che mi ha coccolata e mi e’ stato sempre vicino mentre ero ricoverata a Chaaria.
Grazie ancora a Ezio, a Giulio e Mariangela per essere stati i miei Buoni Samaritani, che con le loro offerte hanno permesso questo “viaggio della speranza a Nairobi”. E’ vero che poi alla fine non hanno fatto molto di piu’ di quanto avrei potuto ricevere a Chaaria. Ma lo sappiamo che non e’ il successo che conta; e’ l’amore che uno ci ha messo.
Andare al Kenyatta e’ stato un gesto di tenerezza nei miei confronti: non volevate che io morissi senza poter dire che avevate tentato il tutto e per tutto.
Per cui, ora dal Paradiso sono io a promettere le mie preghiere per tutti coloro che mi hanno aiutato. Non mi dimentichero’ di voi e vi terro’ sempre davanti al trono di Dio.
E anche io, come gia’ ha fatto Doreen, vi voglio ripetere: “se mi ami, non piangere”.
Certo sara’ dura per i miei genitori, ma anche a loro staro’ vicina.
Ciao.
Charity Karimi
Angelo1.gif

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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