lunedì 22 giugno 2009

Crisi economica a Chaaria

Carissimi amici,
a commento della lettera di ieri desidero riproporvi alcune riflessioni che avevo scritto non molto tempo fa sul blog. Con queste mie parole, che in parte cito ed in parte attualizzo, desidero anche rispondere a varie osservazioni che mi sono state fatte recentemente, sulla gestione economica di Chaaria.

Quello che spesso ci viene domandato e’ come mai non riusciamo ad essere autosufficienti, e siamo sempre in rosso.
C’e’ anche chi mi dice che la nostra amministrazione e’ del tutto fallimentare, se non riusciamo neanche a pagare le medicine.
In risposta a tali dubbi, in se’ del tutto legittimi, vi ripropongo un concetto di cui sono profondamente convinto: l’ indipendenza economica, il poter sostenere tutte le spese senza bisogno di aiuti stranieri, non mi sembra possibile per Chaaria al momento.
Molti dicono che, se non puntiamo a tale obiettivo, gradualmente condanniamo le nostre strutture all’ autodistruzione: a tutti e’ chiaro infatti che gli aiuti internazionali non possono durare per sempre, e verra’ di conseguenza il momento in cui bisognera’ farne a meno.
Noi comprendiamo certamente questo discorso, ma non e’ cosi’ facile metterlo in pratica. Ero recentemente in Sud Sudan, che certamente vive una situazione molto diversa dalla nostra.
Laggiu’ la gente non ha proprio nulla e ancora vive completamente sotto l’egida degli aiuti internazionali: ci sono elargizioni di cibo, in quanto i campi sono spesso ancora minati, e pochi hanno soldi liquidi per comprare le medicine o pagare un ricovero.
Il Sudan e’ pero’ al momento al centro dell’ attenzione internazionale ed e’molto sponsorizzato, per cui l’ amico che mi ha accolto nel suo ospedale mi diceva che l’importante e’ fare dei buoni progetti e spendere bene i soldi che comunque arrivano. Lui ha gli stipendi pagati dal governo, le automobili regalate da ONG internazionali, le costruzioni donate ed anche messe in piedi sotto l’egida di grandi sponsor stranieri. Ha realizzato un sistema di pannelli solari gigantesco, e tutto gli e’ stato dato gratuitamente. Qui da noi gli aiuti ci sono si’, ma su scala molto diversa; si tratta di amici, volontari, parrocchie, e naturalmente la Piccola Casa di Torino.
Noi dobbiamo far pagare qualcosa ai nostri pazienti perche’ altrimenti non ce la faremmo davvero a tirare avanti. E’ vero che le offerte ci aiutano molto, ma e’ anche vero che esse non posso coprire tutti i nostri fabbisogni.
Spesso siamo in “profondo rosso”, ed anche se sappiamo che i nostri amici dall’Italia continueranno a sostenerci, questo dato non puo’ lasciarci tranquilli. Si lavora dal mattino alla sera, si e’ di guardia tutte le notti, ed alla fine della settimana si guarda il portafoglio e lo si trova estremamente vuoto: i soldi vanno a velocita’ supersonica perche’ i prezzi volano sempre piu’ in alto.

Amministrazione.jpgAltri sostengono che, proprio perche’ lavoriamo sodo e alla fine non abbiamo soldi in cassa, dobbiamo aumentare i prezzi se vogliamo salvarci dal totale collasso. Su questo punto pero’ mi trovo normalmente in disaccordo con loro. Infatti, da una parte io credo nell’importanza del “cost sharing” (condivisione dei costi) con i pazienti, perche’ in tanti anni ho ormai maturato che il dare gratuitamente non aiuta: i malati che non si sono sacrificati neppure un po’ per comprarsi della tachipirina, la butteranno via senza problemi, oppure penseranno che, siccome e’ gratis, non vale niente... inoltre il distribuire gratuitamente le medicine favorisce il nascere di un mercato nero, in cui i farmaci ricevuti vengono poi rivenduti a gente che abita lontano e non ha avuto la possibilita’ di viaggiare fino all’ospedale (anche i matatu costano parecchio, tra l’altro).
Pero’ ho sempre voluto che i prezzi di Chaaria fossero i piu’ bassi possibile; questo per due ragioni:
1) la prima e’ che, tenendo giu’ i prezzi, speriamo di non tagliare fuori i piu’ poveri, quelli che non avrebbero i soldi per pagare il dottore o non ce la farebbero a comprarsi le medicine.
2) La seconda e’ di ordine puramente economico: io ho sempre creduto che noi siamo venuti in Africa per lavorare, e non per grattarci le ginocchia... ora e’ chiaro che se terremo i prezzi alti, vedremo la gente che affluisce a Chaaria ridursi molto velocemente, ed i pochi che continueranno a venire non saranno certamente i piu’ poveri: non avremo quindi ottenuto un risanamento del budjet, e non riusciremo piu’ a trovare un senso al nostro stare qui. Se invece i prezzi sono minimi, allora vedremo centinaia di malati, e alla fine della giornata, l’ “income” sara’ ancora maggiore.

Certamente abbiamo anche il peso economico dei lungodegenti. Abbiamo per esempio il problema irrisolto dei paralizzati per varie ragioni (lesioni della colonna, malattie neurologiche, tubercolosi, traumi, violenze). Sono senza dubbio dei poveri, perche’ sono abbandonati da tutti, spesso anche dalle loro famiglie, che li considerano ormai dei pesi morti e delle zavorre economiche.
E’ pero’ sempre piu’ chiaro, in vari anni di esperienza, che, una volta ricoverati, sara’quasi impossibile dimetterli: avranno piaghe da decubito, saranno incontinenti, avranno bisogno di continua fisioterapia... mandarli a casa sara’ quasi impossibile, a meno di portarli noi con l’ ambulanza... ma poi, mandarli a casa a fare cosa? Ad essere mangiati dalle pulci penetranti? Allora li si tiene in ospedale. Dei parenti neppure l’ombra. Anche quando riusciamo a trovarli, non avranno quasi mai la possibilita’ di pagare il “cost sharing” per un ricovero durato circa un anno. Ogni paziente paralizzato e’ un “buco nero” per i nostri bilanci, ma il Cottolengo ci direbbe che proprio lui deve essere la nostra perla preziosa, perche’ e’ il piu’ abbandonato.
Un ragionamento puramente economico mi dovrebbe convincere che e’ meglio stabilire che a Chaaria non si ricoverano casi di paralisi... ma sono sicuro che in questo caso io sarei ancora fedele all’intuizione del Cottolengo? Seguendo questo discorso si potrebbe arrivare a pensare che pure i Buoni Figli sono solo una zavorra: infatti sono 51 gli handicappati ricoverati, e nessuno di loro e’ in grado di pagare uno scellino. L’ospedale deve anche coprire tutte le loro spese.
Inoltre, lo stesso discorso dovremmo applicarlo per i tumori in stadio terminale, per gli AIDS conclamati: anch’ essi sono spesso abbandonati, e nessuno paghera’ per loro se magari muoiono in ospedale dopo sei mesi di degenza... ma come si fa a non ricoverare un gravissimo solo perche’ saprai che ti costera’ una fortuna e nessuno ti verra’ incontro?
Molte delle vostre offerte libere sono sempre andate a finire proprio in questo calderone. Le usiamo per pagare il ricovero di una poveretta che e’ in coma diabetico e non ha nessuno; o per comprare l’insulina ad un altro paziente che non se la puo’ permettere; o per consentire il ricovero a lungo termine di un AIDS terminale. Questo e’ stato anche il fine del Progetto “Buon Samaritano” con cui molti ci hanno pagato un singolo ricovero per un bimbo affetto da varie patologie.

Ancora ringrazio tutti quelli che continueranno ad aiutarci nel momento economico difficile che stiamo attraversando. Dio vi benedica.


Fr Beppe



Cassa.JPG


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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