Mi chiamo Diana Karimi, e sono “pazza”… almeno cosi’ dice la gente.
Da anni sono seguita al Meru District Hospital dove mi dicono che sono schizofrenica. Mi pare di aver capito che significa che in me ci sono due personalita’. E’ un po’ come la storia del Dott Jekill e di Mr Hide... ma la cosa bella e’ che io non sono mai violenta, neppure quando mi trasformo.
Passo dei periodi in cui sono quasi del tutto normale. Posso lavorare, e chi mi vede non si accorge certo che sono malata di mente.
Delle volte pero’ qualcosa in me cambia: io me ne accorgo perche’ inizio a sentirmi molto stanca e a non sopportare piu’ la gente. Mi pare che la voce di chi mi parla rimbombi nella mia testa, come se fossi circondata da tantissimi altoparlanti che creano delle eco per me insopportabili. Quando sono in crisi, devo distendermi al buio con una pezza di tessuto sugli occhi, sperando che attorno a me non ci sia chiasso.
Una decina di anni fa ho creduto in un uomo.
Pensavo sarebbe stato il mio sostegno e la mia dolce meta’. Io l’ho amato sinceramente, e da questo amore e’ sbocciato un figlio.
Purtroppo pero’, a portarmi in ospedale a Chaaria per la maternita’ e’ stata la mia matrigna, perche’ il compagno dei miei sogni si era gia’ dato alle gambe al primo episodio depressivo da me subito durante la gravidanza.
La cosa terribilmente triste di questa vita infame e’ che, come anche voi in Italia dite, “piove sempre sul bagnato”: io sono matta, ma non abbastanza da non rendermi conto che il mio figlioletto non era normale.
“Anche lui handicappato! Ci mancava solo questa! Non bastava la mia malattia psichiatrica ed il mio staus sociale di ragazza madre!”
Dapprima mi sembrava solo un po’ troppo sonnolento e pigro, sia nel piangere che nell’allattamento.
Poi mi sono resa conto che non riusciva stare seduto o sostenere il peso della testa, sebbene i mesi e gli anni passassero inesorabili. Ho aspettato tanto il momento in cui avrebbe fatto i primi passi, ma quel giorno non e’ mai venuto: Erick, il mio pargoletto, non ha mai imparato a camminare, e neppure ha mai smesso di farsi pipi’ e popo’ addosso. Inoltre non e’ mai stato in grado di pronunciare una singola parola: non mi ha mai chiamato mamma... tutto quello che puo’ fare e’ emettere dei suoni acuti e lancinanti che spesso non mi aiutano a comprendere che cosa mi stia chiedendo.
A pochi mesi dalla nascita sono iniziate anche le convulsioni, e questo ha portato altri problemi alla mia situazione gia’ precaria. Le medicine per l’epilessia infatti costano abbastanza care...
A causa della mia schizofrenia non sono riuscita a sposarmi nuovamente, ne’ ho potuto trovare un lavoro stabile. Il mio unico sostegno e’ sempre stata la mia matrigna, la sola persona con un po’ di cuore in tutta la mia famiglia. Ma anche lei sopravvive sul raccolto di un piccolissimo pezzo di terra.
Vivo con lei, in una baracca adiacente alla sua. Di solito sono io che preparo il cibo per me e per mio figlio. Non ho una cucina, e vivo in una baracca con stanza singola dove non c’e’ un camino. Per questo cucino all’aperto, e quando piove ho solo un ombrello per ripararmi, mentre faccio bollire qualcosa per me e per la mia creatura.
Quando ho le mie crisi e mi chiudo in casa, e’ la matrigna a prendersi cura di Erick.
I farmaci per mio figlio sono costosi, ed anche le mie medicine lo sono. Io poi, essendo seguita al Meru District Hospital nel reparto psichiatrico, devo trovare anche i soldi per il mezzo di trasporto pubblico, oltre che quelli per i medicinali.
Qualche volta vengo assunta al Cottolengo Mission Hospital come “signora delle pulizie”, ma poi sono io stessa a chiedere di poter rimanere a casa... quando mi rendo conto che le mie condizioni mentali peggiorano.
Vorrei che Erick fosse ricoverato presso i Buoni Figli, ma, avendoci lavorato piu’ di una volta, sono cosciente del fatto che il Centro e’ davvero pieno e che non c’e’ neppure un buco dove poter accogliere la mia creatura.
Vi chiederete quale sia la ragione di questa mia confessione pubblica!
Lo so che avete gia’ capito!
Naturalmente ho bisogno di soldi, come tutti i poveri di questo mondo!
Se ci fosse qualche “Buon Samaritano” che desiderasse aiutarmi, a me basterebbe ricevere quel tanto che mi permettesse di comprare i farmaci per il mio figlio e per me.
Se poi la vostra generosita’ toccasse veramente il cielo, mi piacerebbe anche costruire una piccola cucina in legno, con tetto in lamiera... anche senza metterci alcun pavimento: la terra battuta va benissimo se li’ dentro ci devi solo cucinare. Quest’ultimo potrebbe essere un regalo che mi fate una tantum, mentre per le medicine umilmente chiederei se qualcuno mi volesse supportare per un periodo piu’ prolungato.
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