martedì 7 settembre 2010

Differenze culturali

In questo breve post vorrei occuparmi esclusivamente del senso del pudore.
Credo che sia in qualche modo una caratteristica innata nella natura umana, ma sicuramente si esprime in maniera completamente diversa a seconda della cultura in cui ti trovi.
Pensiamo agli Indios della foresta amazzonica paragonati ad un Paese di stretta osservanza islamica. Oppure semplicemente pensiamo alla nostra societa’ pornografica, dove anche un messaggio pubblicitario per l’acqua minerale ha bisogno di una donna nuda, e ad una Nazione molto tradizionalista come il Kenya, dove addirittura fa tabu’ la gonna sopra il ginocchio.
Anche qui a Chaaria comunque e’ difficile tracciare delle idee generali su cosa sia il pudore.
E’ un elemento che varia moltissimo, per esempio tra maschi e femmine, tra etnie differenti, e non da ultimo tra diverse religioni.
Generalmente parlando, mi pare che la donna del Meru abbia un rapporto molto positivo con il proprio corpo. Non si espone inutilmente, ma non ha problemi a farlo, per esempio per nutrire un lattante, o per farsi visitare da un medico di sesso opposto. Nessuna donna Meru penserebbe di mandare fuori dalla sala parto un dottore maschio.
Lo stesso posso dire delle pazienti che provengono da tribu’ piu’ primitive e nomadi, soprattutto se di religione animista. Anche normalmente si vestono abbastanza poco, perche’ le loro terre sono desertiche e torride, e non pongono alcuna resistenza di fronte alla necessita’ di essere visitate.
La situazione e’ invece completamente diversa con le donne che provengono da popolazioni a prevalenza musulmana: esse sono spesso molto bloccate, ed a volte non si riesce assolutamente a visitarle. Devono essere viste sempre in presenza del marito, a cui chiedono il permesso per esporre anche la minima parte del corpo: per esempio togliersi il chador. A volte si arriva con loro a situazioni surreali in cui per esempio si deve fare una eco dell’addome per vedere se la gravidanza e’ vitale oppure no... ma c’e’ la proibizione del marito a far vedere la pancia al dottore. Quando una musulmana deve partorire, dobbiamo spesso fare in modo che lo staff sia del tutto femminile. Devo comunque registrare che anche tra gli islamici, si possono trovare donne molto libere, soprattutto se hanno avuto la fortuna di poter studiare fino alle scuole superiori.
Gli uomini invece sono davvero molto piu’ difficili. Non accettano di essere visitati per problemi legati all’area genitale in presenza di staff di sesso femminile. Sovente ho problemi quando si tratta di interventi chirurgici urologici, in quanto l’uomo mi chiede di avere in sala operatoria soltanto personale maschile, cosa che per me e’ assolutamente impossibile, visto che tutte le strumentiste sono donne. Bisogna mediare, discutere e giungere ad un compromesso. Molti accettano alla fine di essere operati anche con staff di sesso opposto, ma alcuni firmano la cartella e lasciano l’ospedale.
Un momento assolutamente tabu’ per loro e’ quello della circoncisione maschile tradizionale: e’ cosi’ forte la repulsione per le donne durante tale rituale cosi’ importante per loro, che ho dovuto organizzare turni di soli maschi per questa pratica ancora richiesta da tutti i ragazzi della nostra tribu’. Ma anche con gli uomini qualcosa si sta modificando, e, pur rimanendo piu’ rigidi rispetto alle donne, incominciano ad accettare qualunque tipo di staff, riconoscendo che si tratta della nostra professione: per esempio, quando sono arrivato a Chaaria, nessuna infermiera avrebbe fatto un cateterismo vescicale maschile. Ora in casi di emergenza, lo fanno senza troppe discussioni da parte del malato.
Da un certo punto di vista si tratta di una cultura “vittoriana” con tantissimi tabu’ a livello sessuale: le scollature vertiginose di certi vestiti italiani fanno problema, cosi’ come le minigonne. Parlare di sesso e’ assolutamente tabu’, e spesso anche con i pazienti bisogna fare degli stani giri di parole, se si deve chiedere qualcosa riguardante quell’area della vita.
Si puo’ anche pensare che sia una cultura piena di controsensi, soprattutto se si considera il numero delle infedelta’ matrimoniali, quello altrettanto elevato di ragazze madri abbandonate al loro destino, l’incidenza delle poligamie di fatto anche tra i cattolici, le dimensioni stesse del problema AIDS.
Pero’ rimane sempre vero che il punto chiave della vera inculturazione e’ quello di non giudicare la societa’ e le persone che vogliamo aiutare.
Loro sono cosi’, e basta!
Il perche’ non lo sanno neppure; in parte dipende dalla loro storia personale ed in parte da quella dei loro avi.
Noi non siamo venuti qui per cambiarli, ma per accettarli cosi’ come sono, e per accompagnarli nel raggiungimento di condizioni di vita migliori.

Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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