giovedì 7 ottobre 2010

Meet Joe Black

E’ il titolo di un film carino che ci hanno prestato e che ho visto recentemente. Naturalmente e’ un po’ una trovata di Hollywood, ma mi ha impressionato il discorso sottostante sulla morte.
La scena che mi ha colpito di piu’ e’ il momento in cui il protagonista, che gia’ sa di dover morire, dice alla folla ignara accorsa per il suo compleanno: “No regrets!”, cioe’ nessun rimpianto.
Penso che poche persone possano giungere davanti alla morte, e per un credente davanti al trono dell’Altissimo, con il coraggio di ripetere la stessa frase. Certamente queste parole non le potro’ proferire io che di rimpianti ne ho tutti i giorni.
Ieri e’ stata una giornata da dimenticare,  piena di morti e di sensi di colpa.
Cominciamo da Faith.
E’ una bambina di 11 mesi che era stata benissimo fino al giorno precedente, e che al mattino presto e’ stata portata in ospedale in condizioni gravissime: febbre altissima e convulsioni continue che non siamo stati in grado di controllare con alcuno dei farmaci a nostra disposizione.
La temperatura e’ rimasta a 40; il suo corpo e’ stato quasi costantemente scosso dalle crisi epilettiche febbrili. A nulla sono serviti il paracetamolo, il valium, il gardenale, il chinino, il rocefin, i cortisonici.
L’abbiamo svestita, e abbiamo posto dei panni tiepidi sulla sua cute per incrementare la perspirazione. Faith e’ sempre stata priva di coscienza, anche nei pochi momenti in cui il suo corpicino non veniva scosso dalle convulsioni.
Verso le ore 17 sto entrando in sala operatoria per un cesareo. Jesse sta ancora praticando l’anestesia spinale ( e quindi onestamente ci sarebbe stato il tempo di fare tutto, se solo fossi stato un po’ piu’ padrone dei miei nervi!).
Mentre apro la porta per entrare nella stanza chirurgica e mi sto allacciando la mascherina, mi trovo dietro le spalle la giovane e bella mamma di Faith che gentilmente mi dice: “Doctor, e’ meglio che tu venga adesso perche’ la piccola che stai seguendo da stamattina e’ ora in condizioni critiche”. Quella donna non ha fatto pressioni ed e’ stata umilissima e remissiva. Pero’ io mi sono comportato male!
Mi darei degli schiaffi sulla faccia, ma quello che e’ uscito dalla mia bocca e’ stato: “mamma, non puoi corrermi dietro cosi’. Io sto entrando in sala”.
Sono quindi corso da Ogembo e gli chiesto di andare lui dalla piccola... Mi dispiace molto perche’ ci avrei messo lo stesso tempo a visitare la bimba io stesso.
Ogembo ha detto di si’ ma probabilmente e’ stato impegnato per altre emergenze.
Io ho fatto il cesareo, ma alle 18, uscito dalla sala, ho udito il pianto disperato di quella giovane mamma. Non ho avuto bisogno di spiegazioni. Ancora madido di sudore, mi sono recato al tavolo del corridoio ed ho cercato la cartella. Faith era morta 5 minuti prima ed il decesso era stato constatato da un clinical officer.
Magari Ogembo ha avuto difficolta’ gravi con altri malati, e non ce l’ha fatta a muoversi dall’ambulatorio. Nessun medico ha quindi visitato Faith dopo la richiesta di aiuto della madre.
Io pero’ avrei potuto andare un minuto al suo capezzale, durante la spinale di Jesse. Non avrei salvato Faith, ma avrei dato a quella donna il senso che davvero me ne stavo prendendo cura. Ora la bimba e’ in Paradiso: sicuramente quella donna ha un sacco di rimpianti: “se il dottore fosse corso, forse la mia piccola sarebbe viva!”; non parliamo poi di me: ho un mattone sullo stomaco che da’ una consistenza fisica al mio senso di colpa e fallimento.
Passano meno di cinque minuti ed Antonio viene a darmi la notizia che la morte si e’ portato via anche Julia, la donna da noi amputata per un piede diabetico.
“Cosa e’ successo? Stamattina le ho parlato e stava bene!”
“Pare sia stato un ictus! Ha avuto una convulsione generalizzata e poi non ha piu’ ripreso conoscenza. E’ morta in meno di un’ora”.
Che colpo anche questo!
Stavamo cercando di aiutarla e di permetterle di sopravvivere, ed invece ha di nuovo vinto la morte.
“Dove ho sbagliato? Cosa avrei dovuto fare di diverso? E’ stato giusto amputarla?”
Mentre mi perdo nei sensi di colpa, senza volerlo Makena affonda un coltello nel mio cuore che gia’ sanguina: “lo sapevi che Julia ha un figlio handicappato con un enorme idrocefalo? Se lo e’ sempre tenuto in casa. Ora non sappiamo cosa decidera’ la sua famiglia”.
Sembra un’epidemia di morte... sono senza parole; oggi pare di rivivere il libro di Giobbe, la’ dove si racconta del giorno in cui  le brutte notizie si susseguono a ritmo incalzante, distruggendo la sua famiglia, il suo patrimonio, la sua felicita’ e la sua vita.
Infatti arriva poco dopo fr Robert e mi dice:
“Volevo comunicarti che e’ morto il figlio handicappato di Diana, quella donna psichiatrica a cui avevi trovato uno sponsor per le medicine e per costruirle la cucina!”
Povera Diana; ora e’ davvero sola; i soldi per le medicine del figlio, li useremo per i suoi farmaci antipsichiatrici... La cucina andiamo avanti a costruirgliela. Speriamo solo che non vada ancora piu’ fuori di testa, adesso che ha perso il suo bambino”.
Joe Black (=la morte) non ci da’ mai tregua, e sempre ci lascia l’amaro in bocca, la sensazione di qualcosa di incompiuto, di sbagliato, di fatto male.
La morte passa quando vuole; i malati se li porta via, mentre a noi lascia il vuoto della nostra poverta’, delle nostre carenze ed dei nostri limiti.
Quando finalmente bussero’ alla porta del Paradiso (sempre sperando di arrivarci), in quel momento in cui tutto e’ fissato e non ci sono piu’ occasioni per rimediare e migliorare, penso che l’unica frase che potro’ dire a San Pietro sara’: “I have a lot of regrets”, ma ancora spero nel perdono di Dio.
Ora sento il bisogno di chiedere perdono non solo al Signore, ma anche a Faith che non conoscera’ mai le gioie della vita adulta, alla sua mamma che ora ha nel cuore un vuoto incolmabile, a Julia ed al suo figlio idrocefalo che adesso e’ anche orfano.

Fr Beppe Gaido  



1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro Beppe,

stasera non so come ho avuto il tempo di leggere un pochino il blog
(in questo periodo sono anch'io oberata dal lavoro dato che son da
sola in ospedale a Mekele), in particolare la lettera sulla morte, in
cui nel mio piccolo (ma veramente piccolissimo) mi sono
ritrovata...nonostante sia dermatologa, puo' sembrare incredibile ma
anche a me e' capitato (mooolto piu' raramente, ma purtroppo anche
recentemente) qualcosa di simile, e le domande che uno si fa sono
davvero un peso da portare, anche per me...figuriamoci in un ospedale
come Chaaria dove la morte e' all'ordine del giorno... quello che mi
fa arrabbiare e' che molti di questi pazienti se si trovassero in un
paese europeo come l'Italia si potrebbero salvare o comunque curare
meglio. E allora penso che almeno siamo qui a testimoniare, nel grande
o nel piccolo, questa enorme e ingiusta differenza. Con tutto cio' le
domande sul "cosa avrei potuto fare" rimangono ahime'... i rimpianti
ci sono, fosse anche solo per un paziente. E' stupido ma a volte penso
al giorno in cui li rivedro', soprattutto una bambina ustionata di 4
anni che mi e' rimasta come un peso... se potranno perdonarmi...boh.
Mi chiedo come trovi il tempo di scrivere sempre...
Federica


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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