sabato 25 dicembre 2010

Buon Natale Chaaria

Ho lasciato Chaaria da poco meno di un mese, ma solo adesso riesco a stendere queste poche righe riflettendo su questa intensa ed articolata esperienza.
E’ la notte di Natale ed io sono, come pure lo scorso anno, di guardia presso il mio reparto di Chirurgia dell’ospedale di Lentini. Ma le sensazioni non sono le stesse di un anno fa!
Allora rimpiangevo un po’ il cenone, la famiglia riunita senza di me, i regali scartare sotto l’albero con i nipotini. E come è lontano adesso tutto questo dal mio cuore!
Stanotte sono felice di essere qui con i “miei malati”, con i “miei infermieri”, a portare una carezza ed un sorriso a chi, purtroppo, non ha un bel Natale da festeggiare. O forse no.
Per essere davvero felice vorrei essere li a Chaaria, con i “miei malati”, con i “miei infermieri”, a portare una carezza ed un sorriso a chi tutti i giorni non ha molto per cui festeggiare.
Non ha molto secondo i nostri parametri occidentali della civiltà del benessere e del consumismo perché in realtà proprio la gente di Chaaria, pur nella sofferenza che la malattia porta inevitabilmente con se, ha davvero tanto per cui gioire. Ha l’Amore incondizionato di Beppe, la dedizione di Antonio e l’impegno di tutti coloro i quali lavorano quotidianamente in ospedale e per l’ospedale. A questi si unisce sempre più frequentemente l’opera di noi volontari che, seppure nella nostra imperfezione e spesso inadeguatezza, cerchiamo di aggiungere la nostra piccola “gocciolina” nell’immenso mare della solidarietà.
Quattro settimane. Quattro settimane intense e lievi nello stesso tempo, faticose ma che non hanno lasciato stanchezza. Quattro settimane non scevre di difficoltà, materiali e spirituali. Quattro settimane che mi hanno insegnato tanto, non più dal punto di vista professionale (anche se ho imparato come si esegue un parto cesareo a regola d’arte, Beppe è molto più bravo di tanti ginecologi che ho visto all’opera negli anni!) quanto dal lato umano.
Ho imparato a saper fare un passo indietro. In un contesto in cui ogni piccolo gesto può essere importante per la salute fisica o spirituale di un uomo, di una donna, di un bambino, ho imparato a mettere in secondo piano le mie forse anche legittime esigenze ed il mio amor proprio. Ho imparato l’umiltà di non considerare necessariamente “superiore” o “migliore” il mio modo di lavorare. Ho imparato la pazienza dell’adattarsi ai ritmi tutt’altro che frenetici rispetto a quelli a cui mi ha abituato da anni il mio primario qui in Italia. Ho scoperto quanto piacevole e dolce può essere spingere una sedia a rotelle per trasportare un povero ragazzo con un ginocchio devastato da un’infezione o riaccompagnare nel suo letto con la barella una giovane mamma dopo un parto cesareo. Ed ho imparato soprattutto a guardare negli occhi un altro essere umano con un sorriso, anche senza dire una parola, per fargli sentire che ero li per lui, per provare a farlo stare un po’ meglio.
Quello che non riuscirò ad imparare mai, purtroppo, è la incommensurabile, incondizionata, immensa dedizione di Beppe!
Ho avuto la fortuna di crescere con un maestro per il quale, di fronte alle esigenze dei pazienti, non esiste Natale o Pasqua, Ferragosto o Epifania. Lavoro da anni con un primario eccezionale, che tutti i giorni è il primo ad arrivare in ospedale al mattino presto e l’ultimo ad uscire la sera.
Ma nessuno riesce ad eguagliare Beppe! Per quattro settimane non l’ho visto fermarsi un attimo, giorno e notte, sabato e domenica compresi. Anche se a volte può sembrare un po’ chiuso basta fermarsi cinque minuti con lui con la mente ed il cuore liberi da condizionamenti per sentire tutto l’Amore che mette in tutto quello che fa, per diventare suo Fratello.
Se riuscissi a fare anche solo il dieci per cento di ciò che fa Beppe come lo fa Beppe sarei di gran lunga una persona migliore.
Ho lasciato Chaaria da poco meno di un mese e non ho ancora guardato neanche una fotografia della quasi cinquemila raccolte con il mio gruppo. Ma ogni singolo istante vissuto laggiù è perfettamente scolpito nella mia mente e tatuato nel mio cuore. Non vedo l’ora di ritornare li per continuare a dare quel poco che posso ma per ricevere in cambio tutto questo!
In questa notte di Natale sono, come lo scorso anno, di guardia presso il mio reparto di Chirurgia dell’ospedale di Lentini. Abbiamo cenato con gli infermieri della notte e a mezzanotte ho fatto il giro di tutte le stanze portando un bacio ed una carezza ad ognuno dei miei pazienti. Ma con il cuore sono anche a Chaaria, a portare un bacio ed una carezza ad ognuno degli “altri” miei pazienti. Buon Natale.
Buon Natale Chaaria!

Cristian Rapisarda

1 commento:

pietro ha detto...

Quanto cuore e quanta umiltà! Condivido ogni riga ed ogni emozione. E' confortante sapere che esistono persone così


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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