martedì 11 gennaio 2011

Un assioma proposto da Max

"Caro Beppe, non basta che tu scriva sul blog che tutte le donne sono incinte a Chaaria, finche’ non se ne prova il contraio.
Bisogna anche che tu sottolinei che tutti gli uteri che sono da togliere sono complicati, finche’ non se ne dimostra il contraio a fine intervento.
Infatti qui, oltre che essere enormi, gli uteri da asportare sono regolarmente murati allo scavo del Douglas, e spesso prendono aderenze pericolosissime con il retto, il colon e la vescica stessa.
A volte non si riesce proprio a scollarli da tutta quella “barbaglia” che li lega in modo pericolosissimo alle strutture anatomiche viciniori”.
“Caro Max, devo ammettere che la tua osservazione e’ del tutto centrata e corrisponde pienamente anche alla mia osservazione. L’isterectomia da noi e’ sempre un’operazione difficile, perche’ le pazienti soventissimo hanno avuto episodi ripetuti di PID (malattia pelvica infiammatoria), che guarendo hanno murato l’utero in fondo alla pelvi. Bisogna davvero penare per le isterectomie! E comunque, se operare qua da noi fosse  facile, che gusto ci sarebbe a venire a Chaaria?”
“Ma se e’ tutto cosi’ difficile in sala, perche’ un chirurgo non sta a casa sua a riposarsi e viene qui a rovinarsi la vita?”
“Io penso che sia il ‘mal d’Africa’... oppure la Provvidenza, che sa quanto noi abbiamo bisogno di voi chirurghi qui a Chaaria, proprio perche’ le operazioni sono cosi’ difficoltose”.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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