mercoledì 30 marzo 2011

Lotta contro la malaria: speranze e timori

E’ indubbio che negli ultimi anni abbiamo fatto grandissimi passi avanti nella lotta contro il flagello malarico.
Si calcola che dal 2001 ad oggi, la sola introduzione delle zanzariere distribuite gratuitamente, abbia portato ad una riduzione di incidenza della malattia di circa il 44%. Questo dato e’ andato di pari passo con un drastico calo della mortalita’ infantile al di sotto dei 5 anni di eta’.
Si calcola che siano gia’ 20 milioni le zanzariere distribuite in Kenya da quando il programmA di controllo della malaria e’ iniziato.
Rimane ancora comunque molto lavoro da fare nel campo del convincimento della gente, perche’ e’ fuori dubbio che parecchi non usano la zanzariera, pur avendola ricevuta gratuitamente: sappiamo di contadini che l’hanno usata come recinto del pollaio.
Tutto questo comunque, unito alla distribuzione praticamente gratuita del farmaco antimalarico di prima linea (il coartem in Kenya), ha portato ad una netta riduzione dei casi di malaria complicata anche nel nostro ospedale.
Ma non dobbiamo cantare vittoria troppo presto, perche’ la zanzara anofele e’ un nemico molto piu’ difficile di quanto potremmo immaginare.
Sembra infatti che questo terribile insetto abbia appena fatto un altro gigantesco salto evolutivo che potrebbe porre dei punti interrogativi su tutti i programmi di eradicazione.
Come tutti avevamo studiato, la femmina dell’anofele si nutre di sangue umano di notte (normalmente dopo le ore 22 e soprattutto verso le ultime ore prima dell’alba).
Ma gia’ da tre anni ci sono state osservazioni che suggerivano un cambiamento delle abitudini alimentari dell’insetto, che ha deciso di nutrirsi molto piu’ presto durante il giorno... prima cioe’ che le persone comuni vadano a dormire sotto le zanzariere impregnate con piretro. Lo stimolo evolutivo a questa mutazione pare sia stato proprio l’impiego massivo delle zanzariere che hanno negato il cibo nelle ore consuete per l’insetto.
Ecco perche’, da tre anni a questa parte, l’insistenza non e’ piu’ soltanto sulla zanzariera, ma anche sull’uso di repellenti sulla cute e sull’impiego di insetticidi nelle case.
La zanzara infatti, come sappiamo dai nostri studi, ha sempre prediletto stare nelle abitazioni, riposare sui muri e pungere le persone in casa (cosiddetto ciclo “interno” o “indoor” nella lingua anglosassone).
Ma circa un mese fa la letteratura scientifica ha segnalato un nuovo ceppo di anofele a ciclo “esterno” (“outdoor cycle” in Inglese ), ceppo che puo’ pungere e nutrirsi di sangue umano sostanzialmente solo all’aria aperta.
Il nuovo tipo di zanzara appena classificato appartiene all’ “anofele gambiae”.
I ricercatori francesi che l’hanno scoperta in Burkina Faso e che l’hanno chiamata zanzara Goundry, dal nome di uno dei villaggi in cui e’ stata identificata, pensano che essa si sia evoluta sotto la spinta mutazionale costituita dalle misure di controllo “indoor” (cioe’ dentro le case).
Pare anche che il nuovo sottotipo di insetto, oltre che nutrirsi all’aria aperta e non nelle case, sia anche piu’ suscettibile all’infezione malarica... e questo potrebbe essere un nuovo grave problema nell’eradicazione della malattia.
La capacita’ evolutiva dell’anofele e’ davvero impressionante: infatti ci sono altri fronti in cui la zanzara inizia a causare preoccupazioni. Ci sono infatti segnalazioni sul fatto che essa stia diventando resistente a vari insetticidi, particolarmente a quelli basati sul piretro. L’Organizzazione Mondiale della Sanita’ indica che le anofeline trovate in Kenya siano non solo resistenti ai piretroidi, ma addirittura al DDT.
Chi vincera’ alla fine?
L’uomo o la zanzara?
Speriamo l’umanita’... ma  la lotta e’ ancora lunga, e tanti ancora moriranno.

Fr Beppe Gaido

Fonti
Gatonye Gathura, Stella Cherono, in Daily Nation, 30/3/2011



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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