giovedì 7 aprile 2011

Mukothima

Oggi ho ripreso le visite periodiche alla missione cottolenghina di Mukothima, su richiesta delle suore che la' operano. Per me e' stato come un ritorno al passato, dato che gia' facevo il "mobile clinic" a Mukothima nel lontano 1999-2001.
Ho rifatto quella strada accidentata alle 6 di mattina, come ai vecchi tempi, e mi sono reso conto di quanta miseria ancora c'e' in Tharaka... molto piu' che nei dintorni di Chaaria, dove il Cottolengo Mission Hospital ha portato tanti stipendi, tanto lavoro e quindi anche un certo benessere. Moltissime case sono di fango e paglia; i bambini per strada sono tutti stracciati e scalzi; le donne fanno chilometri per andare a prendere l'acqua al fiume.
Arrivato a Mukothima sono stato accolto come un principe dalle nostre consorelle.
Dopo una ottima colazione, mi sono recato al centro di salute. Ho visto un buon numero di bambini ricoverati e gravissimi. Erano affetti per lo piu' da malaria, ma anche da polmonite e diarrea. La situazione abitativa, i farmaci a disposizione e la carenza di tutto mi hanno ricordato i primi tempi di Chaaria, quando ancora eravamo un dispensario.
Ho visitato qualche paziente ambulatoriale, per il quale pero' mi sono trovato un po' a disagio. E' strano come sia diventato cosi' difficile per me lavorare senza il supporto del mio fedele ecografo.
Poi e' stata la volta delle "gravide": ho visitato 51 donne in stato interessante, dando loro le necessarie terapie ed i consigli del caso. Ho notato quanto fossero povere... piu' che a Chaaria; come avessero tantissimi figli (quasi tutte erano alla sesta o settima gravidanza), e come fossero davvero giovanissime e prive di educazione scolastica
Non so se ho fatto molto per loro. Mi sono limitato alla palpazione addominale, alla determinazione del battito cardiaco fetale e della pressione arteriosa. Ho richiesto i pochi esami di laboratorio possibili a Mukothima.
Ma di una cosa sono assolutamente certo: i malati che ho visitato si sono sentiti importanti; hanno avuto la sensazione di far parte della grande famiglia di Chaaria. Le suore lo hanno detto piu' volte alle pazienti: "Il dottore ha lasciato Chaaria ed e' venuto qui solo per voi, perche' Mukothima e' un satellite di Chaaria. Chaaria e' il nostro grande ospedale, e su di loro ci possiamo sempre contare".
Sto guidando verso casa. Sono stanco, sia per il lavoro compiuto, sia per la lunga guida sullo "sterrato", sia perche' la giornata di oggi era iniziata con un cesareo urgente di notte... ma ho il cuore pieno di gioia per aver dato qualcosa a questi pazienti sicuramente molto poveri.

Fr Beppe

1 commento:

Anonimo ha detto...

“… ma ho il cuore pieno di tristezza per non esser riuscito a dare qualcosa a questi pazienti sicuramente molto poveri….” Purtroppo io avrei finito con questa frase il racconto del mio ritorno dal Tharaka.
Noi ci siamo incontrati 3-4 volte nei passati anni: io ho ben presente chi sei perché la prima volta ci siamo incontrati per un caso di un ragazzo di Siakago e poi perché sei di Torino e non ultimo perchè sei ‘leggendario’ nel Tharaka..
Oggi sono capitato per caso sul blog, per curiosità, e ho letto questo tuo scritto su Mukothima, sul Tharaka. proprio mentre stavo scrivendo una email a Fr. Protasio del St. Orsola Hospital in cui citavo questi luoghi per un progetto che molto probabilmente non riusciremo a far partire.
Leggendo questo resoconto su Mukothima mi fa effetto leggere che tu, uno che è abituato all’indigenza delle aree rurali africane, ti “stupisci” delle condizioni di vita attorno a Mukothima. che poi dista qualche decina di chilometri da Chaaria. E mi viene da osservare che Mukothima è ancora meglio di altri villaggi qualche chilometro più ad est, dove la vegetazione si fa sempre più rada e i poveri dispensari rurali sono distanti.
Mukothima insieme ad altri villaggi del Tharaka doveva essere uno dei punti toccati dal nostro progetto. La mia tristezza deriva dal fatto che al nostro progetto, senz’altro ambizioso, sono state tarpate le ali proprio nel mentre che doveva spiccare il volo e lo intendo proprio in modo letterale. Peccato, era un tentativo per non far sentirli ‘dimenticati da Dio’ quelle comunità rurali lontane da ogni cosa.
Enrico


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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