venerdì 11 novembre 2011

La grande ustionata



Le ustioni sono purtroppo un evento molto frequente nel nostro ospedale.
Esse per lo piu’ coinvolgono bambini che si ustionano tirandosi addosso thermos di acqua calda, nel tentativo di rubare cibo alle mamme. Oppure si tratta di incidenti dovuti alla fuoriuscita di paraffina incandescente dalla lampada (per esempio quando la lucerna cade sul fianco e da’ fuoco alle coperte).
Nel caso di adulti, spesso si tratta di epilettici che hanno una crisi per esempio davanti a un piatto di minestra caldissima, cadono sul tavolo e si ustionano il viso nel piatto stesso; le donne con sindrome comiziale sovente si bruciano mentre cucinano davanti al fuoco, e la luce alternante delle fiamme fa da trigger per una crisi.
Il ricovero e’ normalmente lungo e doloroso.
Ci vogliono mesi di medicazioni e di antibiotici per far guarire un’ustione estesa; occorre inoltre molta fisioterapia per evitare retrazioni e contratture che porterebbero ad un danno funzionale permanente.
Le ustioni sono normalmente molto profonde (secondo-terzo grado), e necessitano anche di varie toelette chirurgiche per rimuovere il tessuto necrotico.
I grandi ustionati, soprattutto se bambini, sono poi a rischio elevatissimo di morte per infezioni sovrapposte e per disidratazione. Il problema dell’idratazione e del controllo elettrolitico sono il nostro incubo quotidiano nella terapia delle ustioni maggiori.
Il caso di Susan e’ uno dei peggiori che si siano presentati nel nostro ospedale.
Si e’ ustionata con fiamma viva a causa di una stufetta a paraffina che le e’ scoppiata di fronte mentre lei tentava di rintuzzare la fiamma.
Essa ha contratto ustioni gravissime (terzo-quarto grado) su tutto il torace, l’addome, il volto e gli arti superiori, coinvolgendo all’incirca il 30% della superficie corporea.
Non avremmo davvero pensato che Susan sarebbe sopravvissuta, soprattutto a causa della profondita’ della necrosi e dell’estensione delle lesioni.
Abbiamo comunque lottato molto, con antibiotici, soluzioni reidratanti endovenose e medicazioni a giorni alterni.
E’ stata ricoverata a giugno e pian piano abbiamo ottenuto la guarigione di gran parte delle ulcere.
Abbiamo anche sempre fatto fisioterapia, ottenendo la quasi totale assenza di contratture, anche se c’e’ oggi una certa rigidita’ delle dita e del collo.
Il momento della medicazione e’ sempre stato il piu’ tremendo per lei e per noi: lavoro lunghissimo ed estenuante che normalmente abbiamo eseguito in sedazione per controllarle il lancinante dolore.
Le parti guarite purtroppo sono prive di melanina e Susan ha perso il colore sul volto, sulle braccia, sulle mani e su gran parte del busto... ma le diciamo sempre di guardare al positivo: e’ viva e certamente andra’ a casa, e, con i suoi 21 anni di eta’, sicuramente potra’ sperare in un futuro migliore.
Ora, l’arrivo di Luciano ha dato nuova speranza di vita a Susan, ormai depressa e sfiduciata a causa del lentissimo procedere della guarigione.
Abbiamo infatti deciso per un ampio innesto cutaneo che copra tutte le rimanenti ulcere, con il sogno di poterla dichiarare guarita nel giro di due settimane.
L’intervento e’ stato lungo ed estenuante (all’incirca 8 ore!), ma il risultato sembra ottimo, grazie all’uso di un dermatomo che ha permesso il prelievo di ampie zolle cutanee estremamente sottili ed estensibili.
Anche l’anestesia e’ stata un problema non da poco, in quanto ormai Susan non ha piu’ vene, e l’unica che Jesse e’ riuscito a reperire e’ sul malleolo sinistro.
Anche questo e’ un grande successo che contribuisce ad elevare il livello di prestazioni offerte da Chaaria, e soprattutto ci ha permesso di aiutare una persona veramente povera e sfortunata.

Fr Beppe Gaido
 




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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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