lunedì 30 aprile 2012

Giuseppe Benedetto Cottolengo


Giuseppe Benedetto Cottolengo nasce a Bra, in provincia di Cuneo, il 3 maggio 1786. Primo di dodici figli, di cui sei morti in tenera età. Oltre a Giuseppe due fratelli prenderanno la strada del sacerdozio. Il padre è commerciante di stoffe. La madre, donna molto devota. Nel 1811 è ordinato prete nel seminario di Torino. Nel 1816 consegue la laurea in teologia con plauso e lode. Nel 1818 viene chiamato a far parte della Congregazione dei canonici del Corpus Domini, dove figurano nomi ragguardevoli del clero torinese. E non solo. Nella biblioteca passeranno personaggi come Cesare Cantù, Silvio Pellico e Alessandro Manzoni. Trascorre anni dediti agli studi e a tutti i compiti che la congregazione gli affida. Fino a quel 2 settembre. In pochi mesi, con l'aiuto economico di 5 canonici, affitta un paio di camerette nel centro di Torino, di fronte alla chiesa del Corpus Domini, in una casa denominata la Volta Rossa. Il 17 gennaio 1828 verrà inaugurato il "Deposito de' poveri infermi del Corpus Domini sotto la protezione di san Vincenzo de' Paoli", più comunemente chiamato il Deposito della Provvidenza. È un centro di ospitalità, un pronto soccorso, con lo scopo di accogliere coloro che vengono rifiutati dagli altri ospedali e vivono in uno stato di abbandono; risponde ai bisogni improvvisi della povera gente. Di giorno in giorno la domanda cresce. Ci vogliono letti, medicine, cibo. Giuseppe chiede. La Provvidenza risponde. Sempre. Nella sua opera viene coadiuvato da alcuni laici della parrocchia, suoi penitenti. Nel giro di tre anni la Volta Rossa accoglie 210 persone, mentre i collaboratori sono 170. Una figura emerge quella della vedova Marianna Nasi. A un certo punto il canonico si accorge che i volontari non bastano. Affida alla vedova Nasi alcune ragazze disposte a giocare in forma stabile la propria vita per amore di Dio nel servizio gratuito ai poveri. Nascono le suore cottolenghine. Marianna è la superiora. È il 30 novembre 1830. La giornata nel Deposito della Provvidenza inizia alle 4 del mattino e termina a notte fonda. Le suore dividono il loro tempo tra l'adorazione al Santissimo Sacramento e il servizio ai poveri nell'ospedaletto o a domicilio. Padre Giuseppe è solito ripetere: "Il vostro libro di testo è Cristo e questi crocefisso". Per sé rifiuta l'appellativo di benefattore e il concetto di elemosina. Sono termini filantropici.
Valdocco_1831
A Torino scoppia il colera. Una commissione governativa intravede nella Volta Rossa un potenziale focolaio di infezione. Il governo ne ordina la chiusura a scopo precauzionale. Cottolengo disloca i malati in alcune famiglie e invia le suore a servirli. Nei locali vuoti vengono accolti i bambini dei lavoratori poveri, che, oltre ad imparare a leggere e scrivere e i primi elementi del catechismo, ricevono il pasto e una fetta di pane da portare a casa. Inoltre vengono raccolte le ragazze che per strada vivono di elemosina. Viene insegnato loro un mestiere. Saranno denominate la famiglia delle Orsoline. La carità urge, infiamma. Cottolengo comincia a guardarsi intorno per cercare una nuova sistemazione. Al canonico Valletti, che cerca di dissuaderlo, risponde: "Caro rettore, io sono di Bra, il paese dei cavoli. Là ho sempre visto che solo i cavoli trapiantati fanno testa grossa". Il 27 ottobre 1832, dopo solo sette mesi dalla chiusura di Valle Rossa, si apre la Piccola Casa della Divina Provvidenza sotto la protezione di san Vincenzo de' Paoli. È un rustico semiabbandonato preso in affitto per due mesi nella periferia malfamata di Torino, precisamente Valdocco. Per mesi insieme ad alcuni volontari il Canonico si era dato da fare per ristrutturarlo. Sulla porta inchioda un cartoncino con la scritta: "Caritas Christi urget nos!" ("L'amore di Cristo ci sprona", san Paolo, 2Cor 5,14). Dopo pochi mesi affitta nelle vicinanze un'altra casa. E poi un'altra ancora… L'opera si allarga. Nel 1833 sono 300 le persone accolte e assistite. È un anno importante. Il 27 agosto il re Carlo Alberto riconosce l'esistenza legale della Piccola Casa come opera avente lo scopo principale di accogliere i malati respinti dagli altri ospedali e varie categorie di persone abbandonate mediante il servizio delle proprie famiglie religiose. Tre giorni dopo lo stesso re nomina il Cottolengo Cavaliere dei santi Maurizio e Lazzaro, onorificenza concessa a quei sudditi che si fossero distinti in opere di particolare abnegazione e generosità. A fine anno fonda una famiglia di religiosi laici: infermieri per i malati e per il servizio a domicilio, educatori e capi d'arte, maestri e animatori inviati nelle parrocchie dei piccoli paesi. Tra il 1833 e il 1836 porta a termine la grandiosa costruzione dell'ospedale: sei corsie, particolari attrezzature sanitarie, un'importante equipe medica. Il suo operato diverrà famoso in tutta Europa. E, poi, ancora istituisce le famiglie dei sordomuti, degli invalidi, degli epilettici, degli orfani. Apre scuole popolari, asili infantili. Non ha sosta. È il mistero della fede che genera. Impossibile agli uomini, possibile a Dio. Cottolengo non ha capitali. Le sue opere sono realizzate a credito e a nome della Divina Provvidenza: "Chi fa tutto nella Piccola Casa è la Divina Provvidenza e con la Divina Provvidenza non si fanno i conti. Essa solo sa farli e li fa benissimo. Quello che si fa lo si fa per Iddio, Iddio lo sa e questo basta". Nel 1835 la società Montyon e Franklin gli conferisce la propria medaglia. Una sorta di premio Nobel.
Laus  perennis
Poi gli anni bui. Il colera decima le sue suore. Alcuni benefattori si ritirano. I debiti crescono a dismisura. Piovono le denunce. Cessano le scorte. Parte perfino un'inchiesta governativa. Più volte si vede Cottolengo nella cappella a pregare. È certo: la Provvidenza non viene meno. Al conte Castegnetto scrive: "Ho ferma fiducia di non arrivare a Pasqua senza vedere allargata la mano di Dio sulla Piccola Casa". E così è. Il re invia 5.000 lire. Muore il canonico Valletti lasciando un'eredità di 36.000 lire. Per Pasqua il debito è coperto. È un'esperienza che purifica. Che rigenera. Altre opere, famiglie nascono. Per far fonte a nuovi bisogni. Fonda un seminario e alcuni monasteri dediti esclusivamente alla vita contemplativa. Istituisce la laus perennis (lode perenne) alla Santissima Trinità. Nel 1842 un'epidemia di tifo investe la capitale del regno sabaudo in particolare la zona di Valdocco. Cottolengo si ammala. Pur rendendosene conto, non ci bada. Lavora e prega in continuazione. Poi le forze vengono meno. Il 29 aprile a Chieri, nella casa del fratello sacerdote, riceve l'estrema unzione. Muore la sera successiva. Senza benedire i suoi figli, senza designare il successore, senza alcun gesto solenne. L'indomani i 1.300 abitanti della Piccola Casa vengono informati. Sono giorni di festa a Torino per le nozze del principe Vittorio Emanuele. Per questo, per non gettare una luce di tristezza, la salma viene trasportata di notte nella chiesa della Piccola Casa. Per un funerale composto senza esteriorità. La Divina Provvidenza ha gettato le fondamenta del suo progetto. Ora il carisma del Cottolengo appartiene alla Chiesa universale che lo ha proclamato santo il 19 marzo 1934.

Lino Marchisio

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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