martedì 10 giugno 2014

Immagini colme di emozioni

Il Vaticano è certamente un po’ lontano da Chaaria, ma la visita contemporanea a Papa Francesco del presidente israeliano Shimon Peres e del presidente palestinese Abu Mazen, ha commosso tutti anche qui nel nostro sperduto ospedale.
Vedere la foto dei due presidenti che si abbracciavano davanti al Pontefice è stato un grande incoraggiamento per tutti noi,  ed insieme una luce di speranza per la pace. Lo stesso è stato del rito religioso con gli alberi piantati per la pace e con la preghiera fatta insieme.
Purtroppo non abbiamo la televisione, ma anche solo sentire dalla BBC della celebrazione in cui si sono susseguiti momenti di preghiera ebraica prima, di preghiera cristiana poi e di preghiera islamica da ultimo (in una successione basata unicamente su un ordine cronologico), ci ha riempito il cuore di gioia.
Mi è venuto in mente il mio paziente ed amico Ali che mi diceva che Cristiani e Musulmani sono degli scalatori che si arrampicano sulla stessa montagna usando sentieri diversi, ma, arrivati in cima, incontreranno lo stesso Dio.



Ho pensato a tanti volontari che con semplicità mi hanno detto di non credere in Dio, ma di credere fortemente nell’uomo e nel servizio ai meno fortunati: e su questa base comune di solidarietà e filantropia con tali volontari stiamo continuando a collaborare con rispetto vicendevole e con amicizia.
La mia mente è andata poi a quei volontari che vivono con noi anche la preghiera e la messa quotidiana, oltre al servizio: anche con loro è molto bello, perchè non solo condividiamo l’amore per l’umanità, ma anche per Dio che è per noi il motore ed il sostegno nei nostri sforzi.
Mi sono quindi venuti in mente quei volontari che dicono di credere solo nella carta universale dell’ONU sui diritti umani e nel giuramento di Ippocrate: anche con loro queste sono state basi solide su cui abbiamo costruito un cammino di donazione e di collaborazione.
Come dimenticare poi che il Dr Ogembo è stato un ottimo medico per Chaaria, anche se lui è un Avventista del Settimo Giorno; inoltre tantissimi sono i dipendenti di Chaaria che non sono cattolici ma frequentano diverse chiese protestanti. Al di là delle diverse affiliazioni confessionali, con loro abbiamo spessissimo pregato cercando forme rispettose del credo di ognuno.
Da un po’ di tempo poi ho una dottoressa di Meru che viene a lavorare a Chaaria due giorni alla settimana: lei è originaria del Nord ed è musulmana convinta. Per me è bellissimo poter avere una dottoressa di fede islamica, sia come testimonianza per i molti pazienti musulmani che amano venire a Chaaria per farsi curare, e sia come segno palese del nostro rispetto per quella religione: con la dottoressa lavoriamo benissimo e parliamo liberamente anche delle nostre religioni.
Alcuni mesi fa, dall’ospedale di Matiri è venuto a Chaaria per alcuni giorni di esperienza un giovane medico israeliano: anche la sua presenza ci ha dato tanta gioia e ci ha incoraggiati nella direzione dell’internazionalità e dell’ecumenismo.
Abbiamo volontari di fede buddista, ed anche con loro l’intesa è ottima, nel pieno rispetto vicendevole.
Quando nel 2000 il “Chaaria Catholic Dispensary” è stato approvato dal governo come ospedale, ho chiesto ed ottenuto dal Vescovo di Meru, Mons Silas Njiru, di poterlo chiamare “mission hospital”, invece di “catholic hospital”, proprio nell’ottica che il nostro vuole essere un servizio aperto a tutti quelli che hanno bisogno: credenti di tutte le religioni, ma anche agnostici.
L’incontro in Vaticano di Peres ed Abu Mazen con Papa Francesco ha certamente come primo scopo la preghiera per la pace, ma a me piace anche pensarlo come uno stupendo esempio di apertura, di rispetto, di tolleranza e di ecumenismo... e questi sono valori di cui c’è tanto bisogno, anche a Chaaria.

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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