domenica 11 gennaio 2015

Il minimo comun denominatore

Mi dice un volontario con cui ho una lunga storia di amicizia e di confidenza:
“Oggi mi sembra che le motivazioni che portano una persona a scegliere di fare del volontariato siano così disparate che sia praticamente impossibile descriverle tutte. 
C’è chi parte da una motivazione di fede e che invece è completamente agnostico e lo fa per solidarietà umana. 
Ci sono persone che si dedicano al volontariato per portare il loro contributo a società più svantaggiate, ed altri che intendono rispondere ad emergenze umanitarie. 
Ci sono anche persone che lo fanno per se stessi: qualcuno per ritrovare se stesso e la parte migliore di sè in un momento di crisi; altri sperano che un’esperienza totalizzante di servizio li possa aiutare a risolvere dei problemi esistenziali o dei conflitti che si portano dentro”.
Ho pensato tanto a quanto questo mio amico mi ha detto e sono pienamente d’accordo con lui, ma allo stesso tempo mi sembra che una cosa le si debba dire, almeno per il volontariato a Chaaria:
“Hai completamente ragione, ma credo che, parlando di volontariato a Chaaria, dovremmo aggiungere anche un’altra motivazione, che io metterei un po’ come “conditio sine qua non” per una bella esperienza di servizio sia per il volontario che per noi: parlo della voglia di aiutarci e di collaborare positivamente con noi che qui lavoriamo tutto l’anno. 




Chaaria è ormai un ospedale complesso che va avanti anche senza volontari: i volontari sono una risorsa nella misura in cui si sforzano di accettare i nostri ritmi ed i nostri equilibri interni, ed umilmente desiderano inserirsi nel nostro stile di lavoro. 
Una persona che si comporta così diventa un grande aiuto per noi, può facilmente colmare molte nostre lacune, può anche migliorare il nostro servizio con la sua presenza, e soprattutto ci fa star bene quando lavoriamo insieme. 
Invece, chi ha un atteggiamento del tipo “avant moi le deluge” e quasi pensa che prima del suo arrivo qui non funzionasse nulla, ha certamente sbagliato registro e non ci aiuta molto; un volontario che pensa di venire a Chaaria ed imporre il suo punto di vista, il suo modo di organizzare il lavoro, le sue metodiche cliniche senza accettare il buono che già c’è in questo ospedale, inevitabilmente porterà degli scricchiolii nella nostra routine di tutti i giorni, causerà del malcontento sia nel fratelli che nel personale, ed alla fine non farà una bella esperienza lui stesso. 
Io credo che il primo dovere del volontario, al di là delle sue motivazioni personali, sia quello di comprendere che egli è atterrato in una struttura funzionante, che ha i suoi ritmi e le sue abitudini: prima di imporre le proprie idee, egli deve osservare a lungo, farsi accettare e farsi amare da noi e dal personale. 
Quando si sarà instaurato un tale rapporto di stima e di amicizia, allora ogni proposta fattaci umilmente dai volontari sarà presa in seria considerazione e porterà dei cambiamenti sostenibili nel tempo. Le novità imposte invece sono come un venticello che passa, e tutti poi le abbandoneranno non appena il volontario ritorna in patria. 
Se per esempio il volontario dal primo giorno vuole che il carrello delle medicazioni sia organizzato diversamente, o che la terapia venga data in orari differenti, o che si prescrivano test e medicine non disponibili a Chaaria, egli ci creerà solo tensione e non otterrà quel miglioramento degli standard di servizio che magari aveva auspicato, perchè tutto finirà in una bolla di sapone, in quanto il personale non avrà interiorizzato e fatto proprie le sue richieste.
In conclusione penso che ci debba essere un minimo comun denominatore che accomuni tutti i volontari, al di là delle loro ideologie, fedi o motivazioni: e penso che tale denominatore comune sia la voglia di aiutarci, di lavorare insieme senza tensioni, il desiderio di inserirsi nella vita dell’ospedale senza stravolgerla, ma facendola crescere pian piano con proposte umili e rispettose. 
Infatti è importante star bene insieme, vivere come una famiglia che insieme cerca il bene dei poveri e dei sofferenti senza imposizioni e senza malumori”.

PS: Un sincero ringraziamento al Gruppo Volontari Sardi Karibu Africa onlus per averci donato un bel numero di calendari 2015 che già abbiamo affisso in varie parti della comunità e dell’ospedale.


Fr Beppe


Nessun commento:


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


Guarda il video....