martedì 3 marzo 2015

Lettera di Cristiano

Caro fratel Beppe,
Siamo  tornati a casa questa mattina.
Vorrei ringraziarti tanto per l'opportunità che ci hai dato.
Te lo possono raccontare, ma fino a che non lo vivi non ti rendi conto di cosa voglia dire stare in un posto come Chaaria.
Non sono venuto con l'idea di cambiare il mondo, so che la mia esperienza é ancora minima e avevo paura di essere più di impiccio che utile. 
Però sentivo che poteva essere il momento giusto per iniziare a conoscere il cuore dell'Africa. 
Da voi ho potuto vedere come si  fa, concretamente, a migliorare la salute delle persone in una realtà totalmente diversa alla nostra. Ho imparato quanto importante sia la possibilità di potersi curare, che noi spesso diamo per scontata. Ho visto che con poche risorse si può fare tanto; con forse un decimo delle risorse che abbiamo a casa tu e gli altri lavoratori del Chaaria Hospital riuscite a visitare e curare un numero enorme di pazienti.



Purtroppo a Chaaria anche la morte é spesso presente, posso solo provare ad immaginare quante volte sarai stato tentato di mollare, ma anche questo é un grosso insegnamento: continuare attraverso le mille difficoltà con la consapevolezza che curare un malato significa ridurre almeno un po' la sofferenza in questo mondo.
A Chaaria ho capito ancora di più che il lavoro del medico in certi momenti é un lavoro bellissimo, ti permette davvero di conoscere l'anima e il cuore delle persone.
Penso che gli insegnamenti di Chaaria me li porterò dentro per tutta la vita e che mi aiuteranno molto anche per quello che mi aspetterà qui.
Spero di poter tornare più avanti e magari di riuscire a contribuire un po' di più all'immenso lavoro che state facendo in quell'angolo di Africa.
Grazie ancora di tutto.

Cristiano

PS un saluto e un ringraziamento anche da parte di Gessica

(Cristiano e Gessica: due medici volontari della associazione che sostiene un orfanotrofio presso la parrocchia St Francis di Mitunguu)


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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