venerdì 22 gennaio 2016

Buon Compleanno!!!

Buon Compleanno!!!
Carissimo Fratel Beppe,
è con sincera gioia che ti facciamo i nostri migliori auguri per il tuo compleanno!
Non trovando le giuste parole per esprimerti i nostri sentimenti, vogliamo riproporre a te e a tutti i lettori del blog alcuni stralci del recente articolo di Maria Pia Bonanate apparse sulla rivista “Credere” del 3 gennaio scorso. 
Sono parole scritte da Maria Pia, ma che potrebbero essere ripetute sinceramente da ognuno di noi. Sono parole che esprimono quel “molto” che è nel cuore di ognuno di noi e che per vari motivi non siamo mai riusciti ad esprimerti. 
E’ il nostro “piccolo” regalo per questo tuo compleanno. 
Leggile pensando ad ognuno di noi, siamo sicuri che Maria Pia sarà contenta di questo “piccolo furto”!

“C’è una luce nei suoi occhi che arriva diretta da un grande cuore e ti fa sentire subito bene. C’è un sorriso gentile e affettuoso sul suo volto che trasmette serenità e pace. C’è nella sua voce e nelle parole quell’umiltà che annulla ogni distanza. La sua fede non passa attraverso ragionamenti teologici, si alimenta nel quotidiano, spontaneo, dedicarsi a quegli «ultimi fra gli ultimi» nel cui volto riconosce quello di Cristo. (...) 
Quando aveva già iniziato a prestare la sua opera nell’ospedale torinese della Congregazione, gli venne chiesto di andare in Africa, al “Cottolengo Center”, pochi chilometri dall’equatore, dove erano accolti “i buoni figli” e c’era un piccolo dispensario. Era il 1998. 


Fu lì che avvenne l’incontro con quella umanità dimenticata e ferita che sarebbe diventata la sua grande famiglia ed avrebbe cambiato la sua vita professionale e umana. Donne e uomini di ogni età, mamme e tanti bambini, che avevano saputo dell’arrivo del “muzungu”, il medico bianco, e ogni giorno, sempre più numerosi e sempre più sofferenti, arrivavano da ogni parte della regione, dopo avere percorso a piedi, per ore, le strade di polvere rossa. Per Beppe Gaido furono una rivelazione di quel Cristo che lo aveva chiamato perché gli imprestasse le sue mani di chirurgo e di medico, il cuore e la mente per soccorrerli nelle loro molte afflizioni. In pochi anni il piccolo ambulatorio è diventato un ospedale con cento e sessanta posti. Quando fratel Beppe ne parla, si commuove, lo definisce “il mio bambino” e dice che è stata la gente a volerlo, ad aiutarlo a realizzare un sogno che pareva impossibile. (...)
In questi diciassette anni di Africa , il medico e l’uomo si sono continuamente rigenerati nel rapporto quotidiano con gli ammalati. Il medico, spendendosi con tutte le sue forze, non risparmiandosi mai, ha capito quanto è fondamentale mettere sempre, al primo posto, l’ammalato con la sua storia, la sua vita, le sue attese, coinvolgerlo come protagonista e non considerarlo spettatore passivo. In questo modo è riuscito a ridare dignità e speranza a persone che spesso non erano registrate in nessuna anagrafe terrena, ma solo in quella del cielo. Sono gli “invisibili” che abitano nei sotterranei della storia. 
L’uomo ha scoperto che per non lasciarsi anestetizzare dall’abitudine e dall’usura dei propri gesti e comportamenti, per alzarsi, ogni mattina, pronti a lottare, bisogna dimenticare se stessi per servire gli altri. Ha scoperto che la vera felicità è quella sensazione di pace e di serenità interiore che provi quando t’immergi nell’esistenza di chi ti sta accanto e la vivi pienamente, come se fosse la tua. (...)”

Con queste parole ti auguriamo di cuore BUON COMPLEANNO, promettendoti la nostra preghiera e il nostro continuo affetto e riconoscenza!

Cottolengo Mission Hospital Staff


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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