sabato 6 febbraio 2016

Le lezioni di madre Teresa

Una volontaria mi viene a cercare nel mio studio al termine di una giornata convulsa in cui non c’è stato il tempo neppure per mangiare.
Sono così stanco che faccio fatica anche a prestarle attenzione, ma so che è importante che lo faccia perchè mi sembra un po’ stressata e giù di morale.
Mi espone il suo problema che è molto semplice: “lavoro tutto il giorno in reparto, ma alla sera mi sembra di non aver fatto nulla. I bisogni sono così tanti che le giornate dovrebbero essere almeno di 50 ore per riuscire a fare tutto. 
Mi impegno a fondo, ma alla sera mi pare che i risultati siano modesti e che il livello dell’assistenza sia sempre basso, nonostante la mia presenza”.
Da una parte comprendo benissimo quello che questa ragazza prova interiormente: è la sensazione dell’essere inutili di fronte ad una marea di bisogni che comunque ti soverchiano ed a cui non riesci a rispondere a causa dei tuoi limiti umani, psicologici ed anche di reale stanchezza fisica.
E’ una percezione che alberga sovente anche nel mio cuore, soprattutto quando sono molto stanco e non riesco ad esprimere un rapporto empatico verso i pazienti...se poi perdo la pazienza e divento nervoso con loro, allora mi sembra che tutto lo sforzo della giornata sia stato inutile.



Tento comunque di imbastire un incoraggiamento, che rivolgo a me, ancor più che a lei.
“E’ vero che la nostra assistenza è carente in tanti modi e che il livello delle nostre prestazioni certamente non rasenta neppure lontanamente gli standard europei. Ma è altrettanto vero che tu lavori dal mattino alla sera per il bene di questi ammalati! Hai mai pensato che, senza questo tuo impegno e questa tua dedizione, il servizio da noi offerto sarebbe ancora più carente? Ognuno di noi è importante e costituisce un tassello importante in quel mosaico stupendo e complesso che è Chaaria oggi. 
Se tu non ci fossi, il nostro servizio sarebbe certamente più povero. E poi pensa a quello che diceva Madre Teresa di Calcutta che presto sarà Santa, e se lo merita davvero! Lei ripeteva alle sue suore che l’oceano è fatto di tante gocce. Se non ci fossero le gocce, non ci sarebbe neppure l’oceano. 
Sforziamoci anche noi di avere questa fede: nessuno di noi ha la forza di sconfiggere il mistero del male e della sofferenza; nessuno può sconfiggere la povertà, perchè le povertà si traformano, ma i poveri li avremo sempre con noi, come ci dice anche Gesù nel Vangelo. Ognuno di noi però può essere una goccia di amore in questo oceano di sofferenze in cui siamo chiamati a spendere le nostre energie e la nostra vita. 
Saremo solo una goccia, ma la nostra goccia di amore, unita a quelle di tanti altri, diventa una forza. Poi le ho ripetuto un altro pensiero di Madre Teresa, che un giorno fu criticata da alcuni intervistatori che le dicevano: ‘ma lei davvero pensa di risolvere tutti i problemi di povertà di Calcutta?’ E Madre Teresa semplicemente rispose che non si sentiva  chiamata a risolvere tutti i problemi di povertà, nè di Calcutta nè del mondo intero. Lei si sentiva chiamata semplicemente ad amare le persone bisognose che il Signore le faceva incontrare”.
Alla volontaria ho quindi detto che questo lo possiamo fare sempre: donarci, sacrificarci, spendere la nostra vita per gli altri. Forse non riusciremo a quantificare i miglioramenti da noi apportati in una certa realta, ma certo saremo capaci di amare, e l’amore sempre trasforma, contagia e fa bene al cuore dei poveri che incontriamo.
Non conta il tanto o il poco che facciamo; conta l’amore che ci mettiamo, diceva San Francesco d’Assisi.
Spesso ci sentiamo inutili, ma è comunque bello andare a letto alla sera stremati e poter dire a se stessi: non sono stato perfetto; i miei limiti mi hanno fatto sbagliare tantissime volte, ma di una cosa sono certo: ho veramente dato tutto, fino allo sfinimento, ed ho sinceramente cercato di amare, così come ne sono stato capace.


Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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