martedì 7 agosto 2018

Si cresce insieme

E' bello per noi avere tanta gente che viene ad aiutarci in sala operatoria.
E' uno stimolo continuo alla crescita sia professionale che umana. Con i nuovi volontari impariamo sempre tanto, soprattutto quando realizzano con noi un rapporto positivo e cordiale.
Crediamo che sia anche molto importante avere gente da tutto il modo che viene a lavorare con noi, perche' apre i nostri orizzonti e ci fa capire modi diversi di lavorare e di affrontare i problemi.
In questo crediamo che Chaaria sia davvero una esperienza globale/mondiale, con potenzialita' grandissime ed ancora da esplorare appieno.
Noi siamo come delle spugne e assorbiamo tutto quello che ci viene insegnato: siamo davvero desiderose di conoscere sempre di piu' e di lavorare sempre meglio.
Ovviamente, impariamo di piu' da coloro che prima diventano nostri amici e che anche rispettano quello che sappiamo fare.
E' ovvio infatti che anche prima dell'arrivo di un certo volontario, noi gia' facevamo molti interventi. Li facevamo a modo nostro, come ci e' stato insegnato a scuola e come hanno fatto sia il Dr Beppe che volontari venuti in precedenza a Chaaria.
Ogni miglioramento ed ogni nuova proposta dovrebbero sempre tener presente le nostre attuali competenze, che non sono zero, anche se non sono certamente perfette.
Pensare che prima di un certo volontario non ci fosse attivita' chirurgica sarebbe puerile, oltre che un falso storico.


Quando una persona ci rispetta, ci vuole bene, e poi ci dice anche che una certa cosa la potremmo fare in modo diverso e forse meglio, noi siamo capaci di accogliere e di portare avanti il cambiamento in modo duraturo.
Se invece non si instaura amicizia e dal primo giorno veniamo regolarmente contraddette nelle cose che facciamo, in noi partono dei meccanismi di difesa, che il piu' delle volte non sono il rifiuto netto alla proposta, ma una adesione passiva che in noi dura finche' e' presente quel volontario e che poi mettiamo nel dimenticatoio.
Anche la frequentazione ripetuta conta molto: se una cosa ce la dice Pietro o Luciano, quella per noi ha un peso certamente molto piu' grande di una novita' propostaci il primo giorno da una persona che ancora non conosciamo e che magari non tornera' piu'.
I veterano ed i volontari che ritornano molte volte sono i nostri veri docenti.
Per non parlare della cortesia: una sacrosanta verita' dettaci con collera o con atteggiamento altezzoso, lascera' il tempo che trova e la dimenticheremo in fretta, insieme alla persona che ci ha umiliate, ma se una cosa ci viene detta con rispetto, quella ce la attacchiamo al cuore e la facciamo nostra.
E poi una parola ai tempi morti tra un intervento e l'altro, perche' molti si lamentano dei nostri ritmi: noi abbiamo una pausa pranzo sindacale di 60 minuti.
Capita spesso pero' che il volontario vada a pranzo alla chiusura della cute alla fine dell'operazione, e poi torni dopo un'ora lamentandosi che noi siamo in ritardo e facciamo pause lunghissime.
Tenete conto che, dopo aver chiuso la cute, noi dobbiamo medicare la ferita, sbarellare il paziente, attendere che dal reparto vengano a prenderlo (e a volte passano 15 minuti perche' sono impegnati), pulire la sala, lavare i ferri ortopedici e riordinarli prima che vadano in sterilizzazione. Da quando il volontario va a pranzo a quando noi finiamo in sala, passono in media altri 30 minuti.
Poi, quando torniamo da pranzo, nuovamente i ritardi a volte sono indipendenti dalla nostra volonta': il nuovo paziente non arriva dal reparto per i motivi precedentemente detti, la spinale non viene e bisogna rifarla, ecc.
Con tutto questo, noi lavoriamo tanto, lavoriamo con passione e con dedizione, e lavoriamo ogni giorno fino a molto tardi.
Benvenuti quindi a tutti i volontari che verranno ad aiutarci in sala: siamo contente se diventeremo amici prima e poi se potremo crescere insieme: noi ad imparare da voi, e voi a prendere qualcosa anche da noi.

Lo staff della sala


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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