venerdì 3 agosto 2018

Varie definizioni di Chaaria

In questi anni ne ho sentite di cotte e di crude su Chaaria.
C’e’ chi ci esalta a dismisura e chi invece ci sminuisce un po’.
C’e’ chi ha parlato di Chaaria come “la collina dei miracoli”, con una evidente nota di esagerazione, pur motivata da affetto ed ammirazione.
C’e’ chi invece l’ha chiamata “buco nero”, alludendo al fatto che al Cottolengo Mission Hospital i soldi vengono “volatilizzati” alla velocita’ della luce.
In passato alcune persone che non si erano trovate propriamente a loro agio, hanno parlato della nostra Missione come di un carcere, in cui i volontari sono tenuti prigionieri per tutto il tempo della loro permanenza. 
Questa definizione allude al fatto che l’ospedale e’ in una zona rurale, che non offre molte attrazioni quando si va oltre il cancello; si riferisce anche al pericolo che si incorre uscendo dopo il tramonto, cosa che obbliga i volontari a stare in casa alla sera dopo il lavoro.
Oggi ne ho sentita una nuova che da una parte mi ha fatto sorridere, se non fosse molto amara sulle labbra della persona che me l’ha proposta, prima di andarsene: “Chaaria e’ come il Grande Fratello, in cui si e’ sempre tutti insieme ed in cui tutto quello che dici o fai viene scrutato, amplificato e distorto”.


Non avevo mai pensato al Grande Fratello, anche perche’ non mi pare che ci siano le cimici nascoste nelle camere, o le telecamere occultate nei soffitti.
Ma anche questo definizione descrive un campionario di esperienze che una persona puo’ fare venendo in una realta’ difficile come quella del Cottolengo Mission Hospital.
Certamente Chaaria e’ anche un carcere, pur permettendo e promuovendo uscite la domenica (vedi Parco del Samburu, ecc); sicuramente Chaaria richiede la capacita’ di vivere in comunita’ e di accettare dinamiche di gruppo a volte complesse; nessuno nega che all’interno di un gruppo di volontari possano nascere incomprensioni e delusioni. 
D’altra parte si tratta di una comunita’ realizzata da gente che non si e’ scelta, e che si conosce da pochissimo tempo.
Quello che voglio dire e’ questo: ammettiamo pure che la nostra Missione sia in effetti un carcere o una specie di “Grande Fratello”; rimane il fatto che noi siamo qui per i malati, per i sofferenti, per i bisognosi. 
Non siamo qui per gli altri volontari, ne’ per escursioni e safari in giro per il Kenya, ne’ pper i Fratelli o le Suore che possono essere simpatici o meno.
Se carcere e’, deve essere una prigione che accettiamo di buon grado, a beneficio delle persone che vogliamo servire. 
Volontariamente ci chiudiamo in questo posto cosi’ poco “turistico”, per le centinaia di persone che soccorriamo ogni giorno.
Se “Grande Fratello” deve essere, con umilta’ ne accogliamo i limiti, perche’ noi siamo venuti a Chaaria non per fare amicizia con altri volontari (anche se questo e’ auspicabile e bellissimo), e neppure per essere al centro dell’attenzione dei Fratelli e delle Suore. Si sta insieme come mezzo, come strumento per giungere al fine... ed il fine e’ rappresentato dai malati.
Riguardo alla definizione di “buco nero”, la mia impressione e’ la seguente: certo le spese sono tantissime, ma, per capire se la Missione e’ in attivo o in una situazione di bancarotta, non dobbiamo ragionare solo in termini puramente finanziari.
Le ingenti uscite di Chaaria purtroppo sono monetarie, e quindi si puo’ dire che i guadagni di denaro dell’ospedale sono certo molto inferiori alle spese.
Ma in un’ottica di fede, nelle entrate io metterei anche tutte le persone che abbiamo curato, che abbiamo guarito, a cui abbiamo dato un figlio, che abbiamo restituito alla famiglia dopo un intervento chirurgico riuscito. 
Nelle entrate annovererei pure le famiglie povere che aiutiamo, i bambini che mandiamo a scuola con gli aiuti economici dei benefattori, i giovani che supportiamo economicamente nel conseguimento di un diploma.
Se ragioniamo cosi’, Chaaria rimane si’ un “buco nero”, nel senso che assorbe incessantemente tutti gli Euro che le “passano accanto”, ma posso anche affermare senza timore che Chaaria e’ pure una stella che emana luce per molta povera gente che qui trova risposte ai suoi problemi ... e quindi non siamo forse cosi’ tanto in rosso come la definizione di “buco nero” potrebbe far pensare.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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