giovedì 28 ottobre 2010

Ancora partenze

Quando si comincia a star bene con qualcuno, perche’ si e’ avuto il tempo necessario per conoscersi, ecco che arriva inesorabile il giorno della partenza.
Anche oggi purtroppo e’ un “ultimo giorno”.
Infatti domani rientrano in Italia:
Stefania, dopo un lungo ed ottimo servizio in laboratorio analisi. La ringraziamo anche per il prezioso lavoro di coordinamento da lei svolto nell’accoglienza dei nuovi volontari.
Giancarlo ed Andrea, infermieri professionali, i quali hanno lavorato alacremente: il primo nel reparto di medicina generale, ed il secondo nella divisioni di maternita’ e pediatria.
Manuela, fotografa di professione, la quale ha prestato il suo prezioso servizio presso i Buoni Figli, che ora gia’ la rimpiangono per la gioia che e’ riuscita a diffondere nei giorni in cui e’ stata qui con noi.
Ringraziamo questi volontari anche per altri motivi:
prima di tutto per aver completato in pediatria il lavoro del murales, che vi mostreremo domani e che effettivamente rallegra moltissimo l’ambiente.
Quindi per averci donato il loro sangue quando ne avevamo bisogno per i nostri ammalati.
Poi per aver preparato le targhette con il numero dei letti dell’ospedale.
Da ultimo per averci fornito un set di bellissime foto dei nostri Buoni Figli, foto che vorremmo ingrandire ed appndere ai muri come gigantografie.
Giancarlo e Stefania sono volontari recidivi, cosa che ci fa sperare che Chaaria continui ad essere attraente e carica di significato per molti.
Li accompagnamo nel viaggio di rientro ed assicuriamo la nostra preghiera secondo le loro intenzioni.
Rimaniamo in compagnia dei volontari sardi, che vi presenteremo piu’ avanti... e ci prepariamo ad accogliere i nuovi volontari in arrivo domenica.

La comunita’ di Chaaria





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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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